Lo scorso 28 dicembre, alla presenza dell’Arcivescovo, è stato presentato l’XI Rapporto sulle Povertà, promosso dalla Caritas diocesana di Pisa.
Al centro del volume – disponibile per il download – i dati relativi alle povertà ed alle situazioni di disagio ed esclusione sociale incontrate dalla Caritas pisana nel corso dell’anno 2015.
Riportiamo qui le parole di don Emanuele Morelli, Direttore della Caritas diocesana di Pisa, che introducono il documento.
“Periferie esistenziali” è il titolo dell’undicesimo rapporto sulle povertà incontrate dal Centro d’Ascolto della Caritas diocesana di Pisa e dalla piccola rete di CdA che abbiamo promosso in questi anni ed è l’invito che papa Francesco ha rivolto alla chiesa in occasione del colloquio con i movimenti alla veglia di Pentecoste del 18 maggio 2013.
“Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!” (cfr Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! […] Non dimenticate: niente di una Chiesa chiusa, ma una Chiesa che va fuori, che va alle periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù.
Nel nostro immaginario collettivo, nella sua accezione comune, il concetto di “periferia” ha quasi esclusivamente un significato geografico. È un luogo distante rispetto ad un centro che lo racchiude, essendone il bordo, il contorno, e per questo ne determina lo spazio e la superficie. Periferia è confine e limite.
Per fortuna l’aggettivo “esistenziale” ci obbliga ad allargare lo sguardo, ad andare oltre, a scendere in profondità, a cambiare punto di vista… perché sposta l’accezione di periferia da luogo geografico a condizione relazionale. Da distante e lontano rispetto ad un centro a distante e lontano rispetto ad una relazione. Ecco perché per noi, oggi, in Caritas, sono più “provocanti” e “ provocatorie” le periferie relazionali!
Il disagio che tutti lamentano essere la condizione normale delle periferie, nella sua etimologia (“dis” prefisso privativo (che toglie qualcosa) dunque: lontano! E “agio” da adiacens, vicino, prossimo…) significa essere privati di relazioni di prossimità, come se l’altro non fosse a portata di mano, quindi periferico perché non prossimo, sotto la linea dello sguardo quindi “invisibile”.
“Periferia esistenziale” ha a che fare con l’esistenza cioè con la vita (non con la geografia!).
È la vita resa povera, ultima, marginalizzata, schiacciata, annullata, calpestata… la vera periferia oggi. La povertà e il disagio che segnano le periferie esistenziali non sono una malattia (inevitabile…) ma una condizione che possiamo cambiare! La vita è viva. La vita va custodita, coltivata e fatta crescere fino alla sua pienezza! È la nostra sfida quotidiana. Per questo non esiste più un centro ed una periferia ma ovunque ci sono storie di marginalità, di isolamento, di solitudine, di disagio, di fatica, ovunque ci sono persone ignorate, là è “periferia esistenziale” ed è dove deve stare la Chiesa.
Le nostre Caritas sono la chiesa che abita le periferie!
I Centri d’Ascolto, le mense, la Cittadella della Solidarietà, ma anche i percorsi educativi nelle parrocchie e nelle scuole, la promozione delle Caritas parrocchiali… ovunque c’è una Chiesa che si apre all’incontro con l’altro, con il diverso, che sceglie di farsi prossima alla vita ferita, la chiesa sceglie di abitare le periferie esistenziali.
I numeri del Rapporto di quest’anno, nella loro aridità, sono impressionanti: le 1.554 persone diverse, incontrate al CdA, con tutto il peso delle loro fatiche, le loro domande e i loro bisogni, ma anche i 2.496 giovani intercettati nei percorsi educativi sono l’indice del nostro servizio quotidiano. L’incontro con l’altro ci fa essere una chiesa che abita le “periferie esistenziali”.
Ma la grande sfida che il rapporto di quest’anno ci consegna è riportare il margine al centro! È urgente operare una rivoluzione nel nostro modo di essere chiesa: abitare le periferie esistenziali, essere una chiesa estroversa, in uscita, come ci chiede il magistero di papa Francesco.
I nostri servizi dovrebbero servire non a nascondere ma a far uscire le povertà invisibili e dimenticate dalla coltre di nascondimento che le pervade affinché una maggiore consapevolezza di tutti ci aiuti ad essere comunità che accoglie ed integra e che promuove percorsi di inclusione e di cittadinanza piena.
Proprio papa Francesco “…sin dal primo giorno ci ha esortato a metterci in cammino, a raggiungere quelle periferie, geografiche ed esistenziali, dove l’umanità esclusa chiede lavoro, dignità e giustizia. Era, e continua a essere, un invito rivolto a tutti. Alla Chiesa, affinché torni a essere Chiesa del Vangelo, libera dal potere e dai compromessi che il potere esige. Una Chiesa ricca perché povera, forte perché dalla parte degli oppressi, amata perché misericordiosa, capace di accogliere, di comprendere, di perdonare. Alla comunità dei credenti, af[1]finché la fede non sia vissuta come un salvacondotto dall’impegno nel mondo e per il mondo, ma sia una fede che guarda il Cielo senza dimenticare le responsabilità che ci legano alla Terra. All’umanità nel suo complesso, affinché ponga fine alla sua corsa distruttiva e autodistruttiva, abbandoni un sistema che alimenta le disuguaglianze, la corruzione, le mafie, s’impegni a costruire una società dove riconoscerci diversi come persone e uguali come cittadini” (don Luigi Ciotti).
Per questo dobbiamo avere il coraggio di chiederci quali scelte pastorali siamo chiamati a fare per abitare le periferie esistenziali come chiesa diocesana, come parrocchie e/o unità pastorali?
È con questa domanda che ci disponiamo a leggere queste pagine.
Una lettura probabilmente noiosa, di quelle che servono la sera per addormentarci ma che, quando avremmo conclusa, ci consegnerà probabilmente a notti insonni!
Come possiamo stare tranquilli sapendo che nella nostra città ci sono più di 400 ragazzi che hanno minori opportunità educative, culturali, ricreative… dei loro coetanei più fortunati? Non possiamo continuare ad offrire “stampelle” che generano dipendenza ma “opportunità” che liberano dalla necessità di ricevere aiuto. Vogliamo provare a misurarci su un welfare “generativo” che superi un modello di welfare basato quasi esclusivamente su uno stato che raccoglie e distribuisce risorse tramite il sistema fiscale e i trasferimenti monetari. Serve un welfare che sia in grado di rigenerare le risorse (già) disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività.
È necessario convertirci ad un autentico lavoro di rete, pubblico e privato sociale, superando sterili individualismi e aprendoci a percorsi di comunione e condivisione autentica, valorizzando le risorse, le competenze ed i ruoli di tutti gli attori coinvolti, senza subalternità e strumentalizzazioni.
Gli strumenti ci sono, manca la mentalità, spero non manchi la volontà.
Ma è percorso non più rimandabile.
Il Natale di Gesù, festa sovversiva, ci provochi a non accontentarci mai di quello che siamo e di quello che facciamo. Gesù che nasce “fuori” e muore “fuori”, galileo, che porta la periferia con sé, terra di confine che salda la terra al cielo, osteso nella mangiatoia, inquieti i nostri giorni, faccia muovere le nostre mani, accenda i nostri cuori, ci abiliti ad essere sempre e solo servi della vita.
Questo Rapporto, giunto ormai alla sua undicesima edizione, è il frutto del lavoro di molte persone: di tutti coloro che si sono messi in ascolto, di chi ha cercato di promuovere percorsi di accompagnamento, di accoglienza e di cura… Sono operatori, volontari, giovani che vivono l’esperienza del servizio civile e dell’anno di volontariato sociale, tirocinanti e stagisti che completano la loro formazione. A tutti loro va il ringraziamento della Caritas diocesana di Pisa, nella speranza che queste pagine siano di qualche utilità al loro servizio, alla comunità ecclesiale ed alla società civile.
“Periferie esistenziali” però è dedicato soprattutto alle oltre millecinquecento persone che nel corso del 2015 si sono rivolte alla Caritas in cerca di ascolto e di aiuto. Non siamo stati sempre adeguati alle loro domande e ai loro bisogni e di questo chiediamo loro scusa. Le persone che incontriamo sono la “terra santa” alla quale sempre ci avviciniamo con rispetto, quasi in punta di piedi, anche quando siamo consapevoli di non avere le risposte di cui ci sarebbe bisogno.
Siamo in un tempo difficile, dove si costruiscono muri invece di ponti, si respinge invece di accogliere, si creano nemici invece di costruire fraternità. È notte… e da credenti siamo chiamati a starci con occhi capaci di vedere le “gemme terminali”, i piccoli ma concreti segni di speranza con i quali lo Spirito feconda la nostra vita e la nostra storia.