La battaglia di don Sturzo contro la mafia

Presso la Casina Pio IV in Vaticano si svolgerà il prossimo 15 giugno il «Dibattito internazionale sulla corruzione» organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale , presieduto dal cardinale Peter Turkson, in collaborazione con la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L’incontro vedrà riuniti un gruppo di personalità ecclesiastiche e istituzionali, magistrati, rappresentanti delle polizie, esponenti di movimenti e organizzazioni, vittime di crimini, giornalisti e intellettuali.

I partecipanti, cristiani e non, si confronteranno sul tema della corruzione a livello globale, anche nel suo intreccio con il crimine organizzato e con le mafie. In vista di questo evento, vi proponiamo un articolo di Mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, appena pubblicato dall’Osservatore Romano.

 

L’impegno di don Luigi Sturzo per contrastare la corruzione e il fenomeno mafioso inizia come un impegno educativo attraverso la stampa e il teatro popolare.

L’impostazione critica di Sturzo contro la presenza della criminalità mafiosa e delle sue connivenze con i mondi dell’economia, dell’amministrazione e della politica emerge, in un articolo pubblicato il 21 gennaio 1900 sul periodico da lui diretto «La Croce di Costantino» intitolato Mafia, in occasione del caso Notarbartolo.

Sturzo denuncia «la mafia, che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; di quella mafia che oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti. Oramai il dubbio, la diffidenza, la tristezza, l’abbandono invade l’animo dei buoni, e si conclude per disperare. (…) È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra patria, la immoralità trionfante nel governo». È sintomatico l’accenno all’immoralità e alla corruzione che prelude alla principale battaglia che Sturzo si propose: la moralizzazione della vita pubblica.

Quest’analisi lucida e spietata della mafia egli la porta in scena un mese dopo il 23 febbraio 1900 con un dramma in cinque atti intitolato La mafia. Da questo dramma si possono ricavare alcune manifestazioni del fenomeno mafioso il cui scopo è il lucro e il cui mezzo principale è il ricatto. In esso s’inserisce il potere politico che chiedendo alla mafia dei servizi li ricompensa attraverso favori e atti illeciti. La regola indispensabile per questo complesso intreccio d’interessi è l’omertà che lega inevitabilmente i vari livelli di potere istituzionale, politico, economico, tra cui la mafia finisce per assumere un ruolo di mediazione e di controllo complessivo della situazione. Tutto questo non lascia spazio di recupero morale e di ribellione alla logica mafiosa tranne che in qualche eroe solitario. La denunzia di Sturzo aveva lo scopo di educare il popolo per formarne la coscienza a una cultura della legalità e della moralità, che erano assenti o sopite.

Quando Sturzo divenne amministratore locale, il tema da letterario divenne esistenziale per gli scontri che egli ebbe con i mafiosi che usavano metodi violenti per condizionare il voto dei cittadini e i politici che praticavano la corruzione elettorale. In occasione delle elezioni politiche del 6 aprile 1924 egli parlò di «una pagina scandalosa (…) per l’illegalismo più sfacciato, per la truffa elettorale, per il trucco elevato a sistema, per la delinquenza fatta signora a padrona della Sicilia».

A proposito dell’operazione antimafia del prefetto Mori scrisse che egli «epurò la mafia nel modo più fascisticamente pubblicitario (…). Tutto il mondo seppe che quel che né i Borboni di Napoli, né i governi liberali di Roma avevano saputo fare in un secolo, Mussolini fece in un anno o poco meno (…). Mussolini si accorse che i mafiosi siciliani facevano del vento di fronda al sopraggiungere di una mafia in grande quale il fascismo. Molti furono fascistizzati, gli altri mandati in galera». Questo Sturzo lo scrive dall’esilio americano nel novembre 1943 in un articolo in cui criticava anche alcuni comandanti anglo-americani che favorivano in Sicilia il peggio della classe dirigente fatta di latifondisti e agrari con simpatie separatiste e intessevano relazioni pericolose con l’alta mafia.

Don Luigi Sturzo fu uno dei pochi politici che denunciarono senza timori l’esistenza di una mafia criminale e non come innocuo costume isolano e nelle vesti di sociologo comprese le cause più profonde del fenomeno e le sue tendenze all’urbanizzazione.

Scrisse nel 1949 parlando della mafia: «È di moda, lo scrive la stampa comunista e lo ripete quella indipendente, dire che la mafia in Sicilia sia fenomeno di povertà e di condizioni economiche arretrate. A farlo apposta la mafia fiorisce nella Conca d’oro, tra Palermo-Villagrazia-Monreale e si estende in zone prospere quali quelle di Carini e di Partinico. Infatti, cosa andrebbero a fare i mafiosi se non potessero estendere il loro potere e i loro intrighi nella distribuzione delle acque irrigue, nella vendita dei giardini, negli affari di armenti e di greggi, nei mercati di carne, nei traffici dei porti, negli appalti di grosse opere pubbliche e private, nelle anticamere delle prefetture e dei municipi? Forse, costoro, non hanno mai visto mafiosi siciliani a Roma, e andare e venire dai ministeri?».

Don Luigi Sturzo alla fine degli anni Cinquanta osservava che il fenomeno mafioso «si è trasferito dalle campagne alle città, dalle case dei latifondi a quelle degli uomini politici, dai mercatini locali agli enti pararegionali e parastatali». In occasione dell’operazione Milazzo dirà: «Povera Sicilia mia, povera Italia: ora la mafia diventerà più crudele, e dalla Sicilia risalirà l’intera penisola per risalire forse oltre le Alpi».

Don Luigi Sturzo condusse la sua battaglia per la moralizzazione della vita pubblica nelle vesti del sacerdote, del sociologo e del leader politico, per diffondere e praticare i principi cristiani in seno alla società. Sturzo sostiene che per combattere le varie mafie si tratta di comprenderne la presenza non innanzitutto e solo come problema di sottosviluppo economico, ma come un problema culturale, morale e religioso. La mafia potrà essere sconfitta attraverso un profondo cambiamento di mentalità, a un «riarmo morale» che porti a non idolatrare il denaro e la violenza e a ritrovare il nesso indispensabile che deve legare morale, economia e politica. In un articolo del 1958 sulla Eticità delle leggi economiche Sturzo sostiene che l’economia senza etica è diseconomia e che «l’utile degli associati a delinquere non è qualificabile come bene comune».

Sturzo non si fermò a denunce generiche e astratte, ma intervenne spesso e puntualmente in alcuni nodi cruciali della storia italiana con analisi spietate, che non mancano di attualità parlando di concussione, di conflitto d’interessi da parte dei “controllori-controllati” e identificando nello statalismo, nella partitocrazia e nell’abuso del denaro pubblico le tre “male bestie” della democrazia italiana.

Ecco cosa scrisse nel gennaio del 1958 quel vecchio di ottantasette anni: «Una parola moralizzare la vita pubblica! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della moralità? Non ieri, non oggi, non da noi, non dai nostri vicini, non dai paesi lontani. Eppure è questa l’aspirazione popolare: giustizia, onestà, mani pulite, equità». E concludeva: «Pulizia! Pulizia morale, politica e amministrativa, — solo così potranno i partiti presentarsi agli elettori in modo degno per ottenere i voti; non mai facendo valere i favori fatti a categorie e a gruppi; non mai con promesse personali di posti e promozioni; ma solo in nome degli interessi della comunità nazionale, del popolo italiano, della Patria infine, — perché la moralizzazione della vita pubblica è il miglior servizio che si possa fare alla Patria nostra».

Sturzo oltre che un maestro che ha cercato di studiare il fenomeno mafioso e la corruzione è stato anche un testimone che ha puntato sulla moralizzazione della vita pubblica Nel 1957 in un articolo su «Studi Cattolici» egli cita la sua esperienza personale in campo amministrativo e politico «per provare con i fatti essere possibile vincere le battaglie sia contro la corruzione elettorale, sia contro la corruzione amministrativa e politica». Scrive nello stesso articolo parlando dell’abuso della corruzione nell’ambito della gestione del pubblico denaro: «Molti dicono di difendere la patria, la moralità, lo Stato, e perfino la Chiesa e la fede. Non è così che si cerca il regno di Dio e la sua giustizia, non è così che si rende testimonianza al Cristo, ma con l’osservare i comandamenti e prima di tutto il comandamento della giustizia e dell’onestà che sono alla base dell’amore del prossimo».

Uno degli insegnamenti di Sturzo, valido e attuale oggi, in un momento di caduta di valori etici comunemente condivisi, è la ripresa di comune tensione morale e religiosa basata su un’antropologia sociale ispirata ai valori cristiani presenti nella dottrina sociale della Chiesa.

(L’Osservatore Romano, 13-14 giugno 2017)