Vi proponiamo ampi stralci di un’intervista rilasciata dal Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, al vaticanista Paolo Rodari, pubblicata nei giorni scorsi dal quotidiano La Repubblica.
ROMA – “Non sono un politico e, del resto, la Chiesa non è certo un partito; soprattutto, mai deve “essere ossessionata dal potere”, come ha ammonito il Papa al Convegno ecclesiale di Firenze. Vivo, semmai, una tensione e un’aspirazione a discernere “i segni dei tempi” alla luce del Vangelo. Un discernimento che vedo orientato da tre concetti, che saranno la bussola del mio impegno: annuncio, unità e carità”.
Due mesi esatti dopo la nomina a presidente dei vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti parla con Repubblica della sua missione tutta incentrata a far recuperare alla Chiesa la sua missione originaria. In cosa consiste?
“La prima missione dei cristiani consiste nell’annuncio del Vangelo nella sua radicale e rivoluzionaria semplicità; un annuncio gioioso, come ci ricorda l’Evangelii Gaudium, attento a promuovere la persona umana nella sua interezza. Vorrei, quindi, favorire con tutte le forze una spiritualità dell’unità, attraverso una maggiore collegialità tra i vescovi, un migliore raccordo tra centro e periferia e una maturazione della responsabilità dei laici. Quanto alla cultura della carità, la vedo come l’antidoto agli egoismi sociali, ai particolarismi e agli individualismi sempre più diffusi “.
Fino a prima dell’arrivo di Francesco i princìpi non negoziabili indirizzavano l’agire pubblico dei vescovi, poi non è stato più così. Certo, gli stessi vescovi e Francesco non li hanno negati, semplicemente non li hanno più messi in cima alla propria agenda. Con lei si continuerà per questa nuova strada?
“A mio avviso, è la questione della prospettiva personalista nel suo complesso che oggi va ripensata. Faccio un esempio concreto, riferendomi alla bioetica e alle migrazioni: attorno a questi due temi si sono formate delle correnti culturali diverse e persino delle opzioni politiche differenti. A me sembra, però, che sia sbagliato leggere questi temi in modo distinto e opposto: non si può, per esempio, difendere la vita nascente e poi sviluppare un sentimento xenofobico verso gli stranieri; oppure, farsi paladini dell’accoglienza dei migranti e poi promuovere l’utero in affitto. Ho la netta sensazione che ci sia un corto circuito destra/sinistra che non permette di capire che al centro di entrambi i temi – bioetica e migrazioni – rimane sempre l’uomo. Anzi, la persona umana, la cui dignità, lo voglio dire in modo molto forte, è sempre incalpestabile ed inalienabile! Bisogna difendere sempre la cultura della vita!”.
Quali sono secondo lei le priorità politiche del nostro Paese?
“Vedo questo Paese alle prese con tre grandi “priorità irrinunciabili”: il lavoro, la famiglia e i migranti. Tre priorità che, però, sono unite da un unico filo comune: l’Italia. Paradossalmente, la sfida più urgente è l’Italia stessa. Bisogna avere la forza, il coraggio e le idee per rimettere a tema l’Italia tutta intera, partendo da un Sud martoriato e dimenticato. È fondamentale avere una visione del futuro di questo Paese nel nuovo contesto mondiale, altrimenti non si può far nulla per i nostri poveri, che sono la vera emergenza nazionale. Nonostante ci siano segnali di ripresa per l’economia, non posso non essere preoccupato di fronte agli 8 milioni di poveri descritti dall’Istat, la metà dei quali non ha di cosa vivere. Sono giovani, sono donne e sono coppie; sono cinquantenni che hanno perso il lavoro e che sono stati scartati dal sistema produttivo. Se vogliamo veramente aiutare la “povera gente”, come la chiamava La Pira, bisogna rimettere l’Italia al centro dei nostri pensieri: con passione, idee e solidarietà”.
(L’intervista integrale è disponibile qui)