In occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per l’Economia a Richard H. Thaler, per i suoi contributi all’economia “comportamentale”, pubblichiamo un intervento in merito del professor Luigino Bruni, proposto dalla rivista Città Nuova nel febbraio 2016.
Perché, nonostante tutta l’informazione sull’alimentazione, sugli stili di vita, sulle conseguenze dei nostri comportamenti per il presente e il futuro del pianeta, continuiamo ad inquinare molto con auto e riscaldamenti, ma anche a mangiare male, troppo, e a non fare abbastanza attività fisica? È, infatti, più semplice capire perché non riusciamo a rinunciare all’aria condizionata e all’auto privata. È un tipico caso dove il beneficio privato (comfort) prevale sul beneficio pubblico (riscaldamento del pianeta).
Molto più difficile è però comprendere perché mangiamo e beviamo cose che sappiamo farci male. In questo secondo caso non c’è nessun conflitto tra bene privato e bene comune, ma semplicemente un grande bene individuale e sociale (salute, aspettativa di vita, minori costi) cui viene preferito un piccolo bene individuale (cibi grassi e dolci) e un male sociale (aumento della spesa pubblica). In altre parole, è più ‘coerente’ il comportamento di un inquinatore informato di quello di un obeso informato.
Sappiamo sempre più dettagli sui danni certi di zuccheri e grassi, ma poi arriviamo stanchi a casa, vediamo un pezzo di torta sul tavolo e lo preferiamo alla mela che è lì accanto; siamo invitati a casa da un amico, e nel soggiorno tra una parola e un’altra svuotiamo la ciotola di pistacchi e arachidi.
Gli economisti hanno le loro spiegazioni a questi nostri comportamenti. Una delle più note è quella del ‘Nudge’, cioè ‘spintarella’. L’idea di fondo è semplice: la gente si comporta male perché pur sapendo che certe scelte sono sbagliate, quando sono posti di fronte ad una tentazione non riescono a resistere. Più in generale, è come se avessimo delle preferenze e dei gusti più ‘veri’ rispetto alle scelte che facciamo nelle condizioni concrete della nostra vita, dove le decisioni sono inquinate da stress, stanchezza, errori.
Ecco allora la soluzione: rendiamo, artificialmente, più complicata la scelta delle cose che ci fanno male. Chiediamo, ad esempio, ai supermercati di porre gli snack nei display più alti (e lontani dalla cassa), o ai ristoranti di nascondere i dolci nella carta del menu, scrivendoli con caratteri più piccoli, o mettendoli, magari, nelle note dell’ultima pagina. E chiediamo agli amici mettere i pistacchi lontani dal divano – in modo da aumentare il costo di chi li vuole consumare. Non si tratta quindi di proibire certi prodotti, ma solo di rendere più ‘costoso’ il processo di scelta per quei beni che sono più soggetti all’effetto ‘tentazione’. Di darci l’un l’altro una bonaria spintarella nelle scelte dove siamo più deboli. Oppure scegliere i ‘default’ in modo da rendere più semplice la scelta meno costosa – alcuni bancomat, seguendo questa teoria, per la stampa della ricevuta hanno spostato a destra la scelta ‘No’.
Queste pratiche di nudge dovrebbero essere applicate anche a settori eticamente sensibili come l’azzardo, dove invece si pratica invece il ‘nudge all’incontrario’: basta vedere dove sono esposti i gratta-e-vinci nelle edicole o negli autogrill. La prima difficoltà nel rendere operative le molte raccomandazioni del nudge sono gli incentivi delle imprese, che massimizzano i profitti vendendo i prodotti tentatori.
Gli studi presentati ad un convegno a Lugano (‘Economics, Health and Happiness’, 14-16 Gennaio) ci hanno offerto ancora altre spiegazioni. Una ha a che fare con l’errata stima del futuro, soprattutto da giovani. La rinuncia oggi ad un comportamento scorretto è molto evidente e concreta, la salute tra 20 anni è troppo lontana per poter condizionare seriamente il mio comportamento di oggi. Tendiamo, poi, a non prendere abbastanza sul serio le statistiche, perché pensiamo di essere migliori della media, che siamo unici e diversi da tutti. I geni dei nostri genitori e i primi anni di vita pesano molto nelle scelte da adulti. C’è poi il ruolo del lavoro e della solitudine. Quando si lavoro male e/o troppo, si mangia anche male, e la cura delle relazioni è correlata alla cura di sé. Senza rivedere la nostra cultura del lavoro, delle relazioni e della cura, continueremo a sapere che la verdura fa bene e a mangiare panini da soli.