“La povertà, nelle sue forme più evidenti, si sta spostando dalle periferie al centro delle città, spesso rimaste vuote e prive di residenti e gli spazi rimasti vuoti progressivamente si degradano fino a diventare zone franche nelle quali cessano le relazioni corte tra famiglia e famiglia e in cui la stessa comunità cristiana fa grande fatica ad esprimersi perché ridotta spesso ad una comunità di anziani, con pochissime famiglie giovani”.
Così il nostro Arcivescovo nella presentazione – che riportiamo di seguito per intero – del 12° Rapporto Diocesano sulle povertà.
Ancora una volta la pubblicazione del “Rapporto povertà”, il dodicesimo, a cura della Caritas diocesana, se da una parte evidenzia fragilità e problemi che interessano il territorio e soprattutto la vita della gente più povera, dall’altra fa emergere tutta una serie di attività che traducono nella concretezza della vita di tutti i giorni il grande precetto dell’amore di Dio e del prossimo.
Scorrere dati e cifre relativi alle condizioni di vita delle persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto della Caritas non è e non vuol essere uno sfoggio statistico, bensì un modo per riuscire a comprendere che cosa sta accadendo attorno a noi, quali sono le emergenze che si prospettano all’orizzonte e quali risposte è possibile mettere in atto ai vari livelli di responsabilità, non solo da parte della comunità ecclesiale, ma anche da parte degli Enti pubblici ai quali compete provvedere ai più fragili e ai più deboli, perché nessuno diventi un “peso morto” o uno “scarto” per la società, spesso condizionata da una cultura che frantuma, divide e separa, emarginando chi è più piccolo e privo di voce e di mezzi.
Il titolo stesso del “Rapporto povertà 2017” ci permette di cogliere ciò che più evidentemente emerge da una lettura attenta dei dati raccolti: “Dal margine al centro. Relazioni fragili e comunità disgregate”. Se un tempo le periferie erano sinonimo di marginalità e di povertà e spesso, soprattutto nelle grandi città, coincidevano con sacche di miseria umana oltre che di privazione di risorse e di mezzi economici e culturali, oggi si sta evidenziando un fenomeno che sembra crescere anche nelle città più piccole e comunque anche nelle cittadine disseminate nel nostro territorio: cioè una specie di “inurbamento” progressivo della marginalità e quindi anche delle matrici di sempre possibili esplosioni di intolleranza e di violenza.
Detto in altre parole: la povertà, nelle sue forme più evidenti, si sta spostando dalle periferie al centro delle città spesso rimaste vuote e prive di residenti. Gli spazi rimasti vuoti per l’esodo dei residenti a causa di una sempre maggiore difficoltà a vivere al centro della città per ogni specie di limitazione e spesso per una politica miope e incapace di sostenere le relazioni della vita comunitaria, progressivamente si degradano fino a diventare zone franche nelle quali cessano le relazioni corte tra famiglia e famiglia e in cui la stessa comunità cristiana fa grande fatica ad esprimersi perché ridotta spesso ad una comunità di anziani, con pochissime famiglie giovani e con un numero di figli ridotto al minimo.
Lo si vede anche a Pisa, come del resto a Pontedera, e se pure in misura minore, anche in altri paesi più grandi del nostro territorio nei quali ci sono quartieri che si svuotano di residenti in cerca di zone più vivibili e che si popolano di persone spesso in difficoltà che si collegano in base alla nazione di provenienza o al tipo di lavoro che stanno svolgendo.
Se poi a questa tendenza si uniscono le problematiche emerse nel “Rapporto” si capisce come sia facile giungere a forme di vera ghettizzazione e come il fenomeno di “uscita” dei residenti da certi ambienti cresca sempre di più, mentre diventano sempre più difficili quelle buone pratiche di relazione delle quali c’è bisogno perché oltre all’accoglienza possa svilupparsi una vera integrazione tra vecchi e nuovi abitanti. In altre parole credo di poter raccogliere dal “Rapporto 2017” un messaggio che si rivolge sia alla comunità cristiana che alla più ampia comunità civile: non si può pensare di affrontare in maniera adeguata le sfide delle nuove povertà se non si ritorna a proposte educative serie che siano capaci di rilanciare la bellezza delle relazioni interpersonali e sociali e che aiutino a dare senso e vigore ad una vita comunitaria che contrasti l’attuale individualismo imperante.
Il messaggio mi sembra estremamente chiaro e chiama in gioco quella “sfida educativa” della quale anche la società civile era sembrata occuparsi qualche anno or sono, ma che ora sembra essere stata dimenticata. La “crisi educativa” di cui si occupò autorevolmente anche il Presidente della Repubblica Napolitano in un suo messaggio di fine anno, facendo eco a quanto Papa Benedetto XVI aveva detto con grande vigore, sembra essersi perso nel nulla.
Tutto sta procedendo in un individualismo sempre più esasperato; la produzione delle nuove leggi dello Stato, avviene quasi esclusivamente in linea con lo slogan della “libertà individuale” eretta a sistema interpretativo di tutto; ciò che sembra contare a livello ideale non è il bene della persona inserito nell’orizzonte più vasto del vero bene comune, bensì la soddisfazione dei “desideri” individuali scambiati per bisogni oggettivi; la conclusione è che non c’è più spazio per chi non ha voce e per chi non ha mezzi, talché si arriva non di rado a scelte operative pubbliche contraddittorie e paradossali.
In questo quadro di riferimento, la Chiesa non si tira indietro e nelle proprie comunità cerca sempre più di dare fondamenti nuovi al senso di appartenenza non solo alla compagine ecclesiale, ma anche alla compagine civile, nella condivisione della stessa umanità e dello stesso essere tutti membri dell’unica famiglia dei figli di Dio. Da qui l’impegno di educazione alla carità che la Caritas diocesana sta cercando di portare avanti soprattutto tra i più giovani: la Caritas, infatti, non è una agenzia di servizi e nemmeno ha la presunzione di poter dare risposta a tutte le emergenze riguardanti la povertà e i tanti fenomeni che la provocano o che da essa sono generati.
La Caritas è chiamata a fare da cassa di risonanza al Vangelo dell’Amore di Dio e del prossimo all’interno della Chiesa e nella società civile attraverso la pedagogia dell’amore, suscitando pratiche di carità esemplari; dando esempio di come ci si mette a servizio dei fratelli nel nome di Gesù e chiedendo a quanti hanno la responsabilità istituzionale di procurare il bene comune di ogni cittadino di fare con competenza, con intelligenza e con onestà quanto devono, sempre pronta a dare una mano, senza niente pretendere, e sempre disposta a tirarsi indietro quando altri facciano bene ciò che essa sta facendo, non per riposarsi, ma per lanciarsi con rinnovato impegno, nel nome di Cristo, ad offrire “segni” concreti e nuovi di come si può rispondere ai bisogni del prossimo per riscattarne la dignità, riconoscendo in ogni persona, nessuno escluso, il Signore Gesù che ripete a ciascuno: “Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”(Mt 25,40).