“C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire. Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco”. Lo ha affermato il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, chiudendo i lavori della sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente, svoltosi a Roma dal 19 al 21 marzo. Di seguito un’ampia parte del suo intervento.
Cari amici,
stando al calendario, oggi inizia la primavera. In realtà, siamo alle prese con la coda di un inverno – non solo meteorologico – che potrebbe farci dubitare della buona stagione.
I segni dell’inverno parlano nella paura del futuro: paura legata al tasso di disoccupazione dei giovani, al livello di impoverimento delle famiglie, al senso di abbandono che umilia le periferie.
L’inverno si esprime nella paura del diverso: una paura che spesso trova nell’immigrato il suo capro espiatorio. In realtà, questa paura è spesso indice di insicurezze e chiusure su cui rischia di attecchire una forma di involuzione del principio di nazionalità.
L’inverno si acutizza in un disagio che alla lunga diventa risentimento, litigiosità, rabbia sociale.
Spira un vento gelido nella violenza intollerabile che si scatena sistematicamente sulle donne, vento di ignoranza, immaturità e presunzione di possesso.
C’è inverno nella disaffezione profonda e diffusa che investe l’inadeguatezza della politica tradizionale, rispetto alla quale ha avuto buon gioco una nuova forma di protagonismo e di consenso dal basso, attivo e diffuso, anche se non è ancora prova di autentica partecipazione democratica.
Davanti allo scenario che si è aperto nel Paese con le elezioni dello scorso 4 marzo, vorrei tentare di dar voce unanime a quanto, come Vescovi, ci siamo detti in questi giorni, senza rinunciare nel contempo a farlo secondo una mia precisa sensibilità.
Non ci sono facili soluzioni con cui uscire dalla notte invernale. E, comunque, la via non può risolversi nella scorciatoia di promesse di beni materiali da assicurare a tutti, né dalla ricerca di volta in volta di un accordo sul singolo problema. Guai – lasciatemelo dire – se il “particulare” assurgesse a metro, a regola del vivere sociale. Diverrebbe davvero impossibile per tutti amministrare la cosa pubblica.
Per ripartire dobbiamo ritrovare una visione ampia, grande, condivisa; un progetto-Paese che, dalla risposta al bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale.
Su questo fronte come Chiesa ci siamo. Ci siamo, con l’onestà di chi riconosce come l’inverno presenti a volte anche il volto di una fede che incide poco. Una fede che, sì, guarda al Cielo, ma che poi stenta a tenere i piedi per terra; una fede che talvolta diserta la strada, una fede che latita dove invece dovremmo trovarla impegnata a tradurre il Vangelo in segni di vita. Una fede, in definitiva, spesso dissociata dal giudizio sulla realtà sociale e dalle scelte conseguenti, che invece dovrebbe generare.
Se questo può accadere, come Chiesa abbiamo una ragione in più per rinnovare la nostra disponibilità a continuare a fare la nostra parte. Crediamo che la storia – anche la storia di oggi, la nostra storia – sia guidata dallo Spirito Santo, che suscita uomini “liberi e forti”. Ci riconosciamo nella tradizione democratica del nostro Paese e sentiamo la responsabilità di contribuire a mantenerlo unito. Ci impegniamo ad ascoltare questa stagione, a ragionare insieme e in maniera organizzata sul cambiamento d’epoca in atto e a portare avanti con concretezza un lavoro educativo e formativo appassionato.
In questa prospettiva, alla vigilia dell’avvio ufficiale della nuova Legislatura, rilanciamo con forza l’invito al dialogo sociale, al dirsi le cose in maniera trasparente e costruttiva. In una società plurale il dialogo dev’essere assunto non tanto per tattica di convenienza, ma per convinzione morale, come metodo, disposti quindi a farne proprie fino in fondo le regole.
Non partiamo da zero. I segni di primavera fioriscono ancora in una Carta costituzionale bella e cara, con i suoi valori di lavoro, famiglia, giustizia, solidarietà, rispetto, educazione, merito. Con il valore essenziale della pace, senza la quale tutto è perduto: in casa nostra come in Europa, dove l’Europa – con le sue Istituzioni – rimane orizzonte da riscoprire proprio per poter abitare davvero la casa.
Attenzione: quelli sanciti dalla Costituzione non sono principi astratti, buoni per qualche declamazione retorica. Alte cariche dello Stato, come umili servitori, per questi valori hanno saputo dare la vita. Gli anniversari dell’uccisione di Marco Biagi, del rapimento di Aldo Moro e del barbaro omicidio dei cinque uomini della scorta ne sono segno eloquente.
Il 4 marzo gli italiani hanno votato. I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società. Per questo il Parlamento deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà.
Si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune e dei territori.
Alcide De Gasperi, un anno prima di morire, chiudendo la campagna elettorale, il 5 giugno 1953 a Roma, affermò: «In questa dura campagna troppi predicarono l’odio, l’odio della demolizione e della vendetta. Ma il popolo italiano ha bisogno di fraternità e di amore. Tutti ne abbiamo bisogno, i milioni di poveri che reclamano un’opera di redenzione sociale; i milioni del ceto medio che mantengono a fatica, nelle accresciute esigenze, il decoro della vita; i milioni di giovani contesi e straziati da opposte fazioni. Ci vuole più amore, più fraternità».
C’è una società da pacificare.
C’è una speranza da ricostruire.
C’è un Paese da ricucire.
Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco.
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