A partire da alcuni estratti di un articolo di Claudia Morelli, pubblicato sul sito Altalex un paio di mesi fa, vi proponiamo qualche spunto di riflessione sulla e-democracy. L’articolo prende le mosse da uno studio del Parlamento Europeo (Prospects of E-Democracy in Europe), discusso e approvato nel 2017, che si poneva l’obiettivo di riordinare in un unico rapporto gli studi scientifici e le esperienze effettive in giro per l’Europa, valutandone la possibile implementazione a livello di UE.
Cosa si intende per e-democracy
In linea generale possiamo dire, basandoci sull’approfondito studio del Parlamento Europeo, che si tratta di forme di partecipazione dei cittadini alla formulazione di decisioni politiche, includendo sia meccanismi formali istituzionali, sia sistemi informali di engagement civico, che avviene attraverso meccanismi, piattaforme, tools digitali. Nonostante le differenze nel coinvolgimento delle persone, un tratto comune dei sistemi di e-democracy risiede nella necessità di contemperare il design delle piattaforme digitali con l’inclusività, che si sottrae a una misurazione sulle capacità tecnologiche dei cittadini. Nel senso che deve essere data per acquisita anche approcciando al design della piattaforma e/o tool.
Ed è proprio l’inclusività (o meglio, la necessaria inclusività) che chiama in causa il diritto di uguaglianza.
E allora la domanda è: come potrà declinarsi in digitale?
Riordinando la letteratura più recente, ma anche basandosi sulla realtà già esistente, gli strumenti digitali attraverso cui può esercitarsi la e-democracy si dividono in cinque categorie, più una che è pervasiva ed a monte:
- E-consultation. Strumenti di coinvolgimento dei cittadini in vista della assunzione di decisioni pubbliche. Più il processo è trasparente, più i cittadini ricevono feed back precisi sui risultati conseguiti più il sistema è democratico. Ma non sempre questo è garantito.
- E-petition. Il sistema di petizioni on line è cresciuto in tutta Europa. Ovviamente il successo non è dato dallo strumento, ma dalla capacità delle istituzioni di raccogliere gli input esterni e anche dalle capacità tecnologiche dei proponenti, per mandare a buon fine la petizione.
- E-deliberation. Sistemi che si prefiggono di essere inclusivi al fine di assumere decisioni votate dal basso. Perché il sistema abbia efficacia, è importante il livello di inclusività che presuppone una formazione “tecnologica-digitale” omogenea dei partecipanti e anche la capacità di “moderare” lo scambio.
- E-budgeting. Decidere come allocare risorse pubbliche coinvolgendo la collettività sembra una frontiera avveniristica. Tuttavia in alcuni paesi è già una realtà. Questa forma di coinvolgimento non necessariamente modifica il rapporto tra cittadini e potere politico, ma certamente influenza la decisione pubblica. Gli effetti positivi registrati nei casi in cui il sistema è adottato vanno dall’aumento della trasparenza, al miglioramento del servizio pubblico, alla maggiore efficienza delle procedure, una migliore cooperazione tra amministrazioni diverse.
- E-voting. I sistemi di elezione politica utilizzando piattaforme e sistemi digitali mostra ancora grandi sfide. Sistemi elettorali digitali sono adottati in Svizzera e in Estonia (quest’ultima non a caso soprannominata la Silicon Valley d’Europa per la preparazione digitale dei suoi abitanti e per l’utilizzo spinto di ICT da pare dei poteri pubblici a tutti i livelli). Secondo la valutazione dello studio europeo, i sistemi richiedono ampi margini di miglioramento sotto il profilo non solo tecnologico, ma anche di quadro normativo, sicurezza, trasparenza, supervisione e responsabilità.
Social media e democrazia
Su tutti i meccanismi digitali di democrazia “diretta” si stende però il manto dei social network. Abituati come siamo ormai a guardarci dalle fake news – soprattutto di matrice politica – non ci rendiamo conto di come l’ambiente social governato com’è da algoritmi non controllabili – se non “corretto” con buon senso e grande uso di senso critico e civico – influenzi brutalmente i nostri pensieri, convincimenti, motivazioni etc.
Non è solo il “contesto” ma anche la presenza di donne e uomini politici sui social, con i loro account, che a volte mischiano e confondono gli aspetti pubblici/istituzionali con quelli privati/emozionali, che deve essere considerato.
Nello studio UE si legge a chiare lettere che una risposta precisa, sull’effettivo impatto che i social media producono sul livello di democrazia, non esiste ancora.
Lo stesso Facebook, nel suo blog, per la serie delle hard question si è chiesto: Ma quali sono gli effetti dei social sulla democrazia? Affidando la risposta a personaggi diversi e – per fortuna- di diverse opinioni.
Cass R. Sunstein, Professor at Harvard Law School, ha risposto con un paradosso: “Are automobiles good for transportation? Absolutely, but in the United States alone, over 35,000 people died in crashes in 2016” (le automobili sono utili come mezzo di trasporto? Assolutamente sì. Ma in Usa oltre 35mila persone sono morte in incidenti stradali).
Esattamente come le auto e gli incidenti, i social sono utili per sviluppare il livello di democrazia; tuttavia, al contempo, producono “incidenti” che il professore di Harvard considera mortali per la democrazia, come le fake news e la proliferazione di informazioni parziali. Questo, a suo avviso, crea frammentazione, polarizzazione ed estremismo. Sunstein ne ha avuto la prova conducendo un esperimento con gruppi di persone diversi, composti secondo idem sentire diversi, sollecitate ad assumere una decisione. L’effetto finale è stata una radicalizzazione delle opinioni di ciascun gruppo, spostate verso posizioni più drastiche.
E se questo è l’effetto indiretto del funzionamento dell’algoritmo, cosa dire dei bot che su Twitter che generano e re-twettano automaticamente tweet con informazioni false?
Funzioni, tipologie e tools di e-partecipazione
L’obiettivo dello studio europeo era quello di rappresentare lo stato dell’arte delle piattaforme e tools esistenti per verificarne la estensibilità a livello UE e, in qualche modo, recuperare un gap tra istituzioni comunitarie e cittadini europei e rafforzare, per questo tramite, l’Unione.
Nelle istituzioni europee sono già attive alcune forme di e-democracy, come L’Eci (European Citizen’s Initiative, Your Voice in Europe, le petizioni al Parlamento UE). Ma appaiono prive di efficacia.
In estrema sintesi, facendo tesoro dell’inchiesta sul campo, condotta nei paesi UE, lo studio evidenzia che un buon sistema di e-democracy dovrebbe garantire:
- Una combinazione strutturata tra attività on-line e off-line;
- Un collegamento diretto e riconoscibile con i processi politici volti alla assunzione di decisioni;
- Una sostenibilità nel tempo del tool, sempre aggiornato;
- Una correlata attività di comunicazione e coinvolgimento (engagement) diretto delle persone;
- L’assoluta chiarezza e trasparenza della procedura on line;
- La capacità delle piattaforme, tool, etc. di favorire la interazione tra le persone;
- La capacità delle piattaforme, tool, etc. di favorire la interazione con i responsabili delle decisioni;
- Fornire feedback effettivi ai partecipanti.
L’e-democracy ha un futuro nelle Costituzioni?
“E’ difficile dare una risposta univoca. La democrazia elettronica poggia sul livello di democraticità dei Paesi, che è preesistente al digitale. Il suo percorso – semmai – sarà frammentario, per scossoni”, riflette Oreste Pollicino, Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università Bocconi. “In ogni caso, prima di parlare di un eventuale statuto costituzionale della e-democracy, dovremmo chiederci se non vada costituzionalizzato il diritto di accesso a Internet”.
Sarebbe dunque questo il primo tassello per garantire la uguaglianza dei cittadini in una democrazia digitale. “Non a caso, le proposte di riforma costituzionale che finora in Italia hanno riguardato Internet sono state presentate da Stefano Rodotà e da Guidi D’Ippolito ed entrambe – pur con sfumature diverse – categorizzavano il diritto di accesso a Internet come un diritto fondamentale”.
Ma occorre una riforma della Costituzione in questo senso? “Non è detto. In Francia questa affermazione è venuta dai giudici costituzionali. In altri ordinamenti, norme primarie stabiliscono un obbligo dello Stato di garantire la copertura di banda larga in tutto il territorio. Le soluzioni possono essere diverse”.
Ma la strada, viene da pensare, è obbligata nel senso che, come sempre ma forse nel digitale un po’ di più, è l’infrastruttura a fare la differenza.
Quanto agli esperimenti in Italia, i partiti o movimenti politici – secondo la Costituzione – hanno assoluta autonomia organizzativa per concorrere a determinare la politica nazionale.
Unico limite costituzionale: il metodo democratico.