«Chiara Lubich e l’economia di comunione. Il percorso di una profezia»
Nel decennale della morte della Fondatrice dei Focolari, un convegno promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, il 3 maggio, insieme al Sovrano Militare Ordine di Malta e in collaborazione con il Movimento dei Focolari, è stato l’occasione per una riflessione sull’Economia alla luce del carisma dell’unità. Vi hanno partecipato Mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, Luigino Bruni, professore di Economia all’Università LUMSA di Roma, Leonardo Becchetti, professore di Economia all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, e Simona Rizzi, presidente del Consorzio Tassano Servizi Territoriali.
Anticipiamo qui ampi stralci delle relazioni di Maria Voce e di Mons. Becciu (come riportati, nei giorni scorsi, da L’Osservatore Romano).
(Maria Voce) Cosa ha mosso la giovanissima maestra di Trento, durante la seconda guerra mondiale, a dar vita, quasi senza rendersene conto, a un vasto Movimento che ormai ha raggiunto uomini e donne delle più diverse nazioni, culture, fedi? C’è una sola risposta: l’amore. L’amore verso Dio e l’amore verso l’uomo, ogni uomo.
Il Vangelo vissuto, parola per parola, ha fatto scoppiare nella piccola realtà trentina una vera rivoluzione: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» legge Chiara nel Vangelo. Lo scoprire il volto di Gesù in ogni persona ha elevato l’uomo alla sua vera dignità, e ha spinto Chiara e le sue compagne a quell’amore pronto anche a dare la vita per i fratelli. E così l’aiuto ai più poveri è stato il primo prorompente effetto di ciò, a tal punto che pensavano che, risolto il problema sociale di Trento, avrebbero risolto tutto.
Il loro atteggiamento di piena condivisione nei confronti dei più disagiati — li invitano anche a pranzo e per loro scelgono la tovaglia, le stoviglie e i cibi migliori — è stato il banco di prova dell’amore universale verso tutti che avrebbe portato poi il Movimento a raggiungere gli ultimi confini.
Chiara stessa ricordava quei primi giorni della nuova vita: già avevano imparato a vedere Gesù nei minimi e cercavano di servire lui che formava in essi la loro unica ricchezza, dandogli quanto in casa si trovava di disponibile. Dal primo momento i poveri rispondono, condividendo il poco che hanno, o quello che non hanno, i loro bisogni.
È la reciprocità la chiave per comprendere come sia stato possibile mettere le basi a questo bozzetto di società rinnovata dalla vita del Vangelo che si è andata componendo prima a Trento e poi nel mondo. L’ideale che anima Chiara non si rivolge però solo a una categoria di persone, come i poveri, ma ben presto si allarga a tutti.
La nascita del primo focolare rappresenta l’occasione di mettere in comune tutto quanto possedevano di beni spirituali e temporali, spinte dal desiderio d’amare Dio insieme, o meglio, di edificare il regno di Dio in mezzo a loro, nell’unità invocata da Gesù nel suo testamento. Nel succedersi dei giorni, attorno al focolare, venne formandosi un alone composto da una grande schiera di persone delle più varie categorie.
Conoscendo che fra esse alcune possedevano dei beni, altre erano nelle ristrettezze, nella fame e nel freddo, un giorno le prime focolarine fecero appello a tutte, perché chi aveva donasse il proprio superfluo a chi non l’aveva; e questo non una volta soltanto, ma ogni mese, con un serio impegno a versare il proprio contributo, perché fosse poi ridistribuito a chi fra loro era povero. Successe così che, se prima su 500 persone che avevano conosciuto, una trentina era nel bisogno, poi tutte avevano almeno di che sfamarsi e vestire, in attesa che la carità di tutti aiutasse a trovare un più dignitoso modo di sostentamento, come un qualche lavoro che ciascuno si diede premura di cercare, desiderosi ormai di donarsi tutti per uno.
Il disegno di Dio sull’uomo è una vita che inizia flebile e indifesa, cresce e si afferma nell’interazione con le creature e il creato, supera la morte ed entra nella perenne novità della condizione divina, per diventare e vivere da “figlio di Dio”.
Partendo da questa profonda convinzione che tutti gli uomini sono figli di Dio e quindi fratelli fra di loro, Chiara lavora, con passione, per oltre 60 anni perché nel mondo si realizzi la fratellanza universale. Quindi, con un lavoro incessante e una convinzione profonda, Chiara ha formato migliaia e migliaia di persone, che oggi costituiscono il Movimento dei Focolari nel mondo intero, e ha permesso di innestare nella società quella linfa nuova che, magari pian piano, senza strepito, la cambia alla radice.
È una via collettiva che irradia, contagia, si apre a quanti l’avvicinano e produce un’azione che può incidere e trasformare tutti gli aspetti della società e della storia. Persino situazioni tragiche di guerra o genocidio possono diventare storia di speranza, se ci lasciamo plasmare dalle parole del Vangelo: una sola potrebbe mutare il mondo.
Inoltre, da questa vita, dei singoli e delle comunità, sono fiorite e continuano a fiorire tantissime opere in favore dei diritti umani, tipica espressione di questo amore all’uomo, nel continuo e sempre rinnovato impegno ad attuare la dottrina sociale cristiana.
E l’Opera di Maria (altro nome che identifica ufficialmente il Movimento), non raggiungerebbe la propria vocazione se non attuasse quella che a noi piace chiamare la prima pagina di detta dottrina sociale cristiana, che è il canto del Magnificat, dove fra il resto sta scritto: «Ricolmò di beni gli affamati e rimandò a mani vuote i ricchi».
Nel Magnificat Chiara da sempre ci ha indicato un programma di vita e di azione: «La magna carta della dottrina sociale cristiana inizia là dove Maria canta: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi”». L’abbiamo sperimentato fin dall’inizio del Movimento e continua tutt’ora: c’è chi mette in comune i gioielli, chi terreni, chi beni di ogni tipo, chi i propri bisogni. Scegliendo uno stile di vita sobrio, ci si aiuta tutti ad avere il necessario. E troviamo nel Vangelo la più alta e travolgente rivoluzione.
(Mons. Giovanni Angelo Becciu) Sono molto lieto di trovarmi questa mattina con voi, che riflettete sul tema «Chiara Lubich e l’Economia di Comunione: il percorso di una profezia». Sì, perché di profezia si è trattato. Era il maggio del 1991 quando Chiara, in visita alle comunità del Movimento in Brasile, restò colpita dallo stridente contrasto tra le favelas e i grattacieli della città di San Paolo. Da quell’attrito inaccettabile tra povertà e ricchezza scoccò in lei la scintilla di quell’ispirazione che da subito prese il nome di Economia di Comunione.
Economia e comunione: fa già riflettere l’accostamento di due parole che parrebbero quasi antitetiche, appartenenti a campi semantici rigorosamente distinti. Da una parte l’economia, con la ricerca del profitto e i suoi meccanismi veloci, spesso voraci e in parte incontrollabili; dall’altra la comunione, che indirizza il pensiero al pacifico incontro di animi in un clima familiare, di casa.
Eppure, a ben pensarci, la stessa etimologia della parola economia riporta proprio alla casa. Il significato originale del termine nell’antica lingua greca designava, infatti, proprio «l’amministrazione della casa». L’economia è chiamata dunque a servire anzitutto l’esistenza quotidiana e familiare degli uomini, che non può essere vissuta se non in comune. Oggi, invece, impauriti anche dalla crisi economica, vi è la tentazione di vivere concentrati su se stessi, di ricercare felicità private, che escludono gli altri, generando rivalità, inimicizia e infelicità pubblica. L’economia non è però un’attività destinata a produrre ricchezza a beneficio di pochi, ma una nobile vocazione a custodire la dignità del vivere insieme.
È urgente, pertanto, creare nuovi modelli che regolino i profitti, le finanze e il commercio, sistemi di scambio più inclusivi ed equi, non controllati da pochi, che ispirati alla persona e ai diritti dei popoli, vadano a reale beneficio delle società. È auspicabile un’economia incentrata sulla dignità del lavoratore, che persegua una paziente umanizzazione del lavoro, adeguandolo maggiormente alla vita e alle esigenze delle persone stesse.
Ecco allora che economia e comunione non solo si possono, ma anche si devono incontrare. E se l’economia è chiamata a ricercare la dignità della persona piuttosto che l’avidità del profitto, la comunione — categoria che a volte si rischia di delegare a teologi o pastoralisti — è tenuta a non restare un ideale astratto, ma a calarsi nei dinamismi concreti della vita sociale. Lo ha ricordato pochi giorni fa il Papa, affermando che la pace, da tutti attesa, inizia dal basso, «a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione». A questo proposito ha citato il servo di Dio Tonino Bello, che disse: «dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini» (Discorso ad Alessano, 20 aprile 2018).
Il mio auspicio, ed è l’augurio che vi rivolgo all’inizio di questo convegno, è che progetti sempre nuovi di Economia di Comunione possano continuare a costituire segni profetici di incontro tra cielo e terra, tra quella comunione che pacificamente regna in cielo e questa economia sempre più frenetica che, tra tante incertezze e troppe disuguaglianze, è chiamata a sostenere la vita sulla terra di tutti.