Considerazioni per un discernimento etico
circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario
della Congregazione per la Dottrina della Fede
e
del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale
(17.05.2018)
Introduzione
Le tematiche economiche e finanziarie, mai come oggi, attirano la nostra attenzione, a motivo del crescente influsso esercitato dai mercati sul benessere materiale di buona parte dell’umanità. Ciò reclama, da una parte, un’adeguata regolazione delle loro dinamiche, e dall’altra, una chiara fondazione etica, che assicuri al benessere raggiunto quella qualità umana delle relazioni che i meccanismi economici, da soli, non sono in grado di produrre. Simile fondazione etica è oggi richiesta da più parti ed in particolare da coloro che operano nel sistema economico-finanziario. Proprio in tale ambito, si palesa infatti il necessario connubio fra sapere tecnico e sapienza umana, senza di cui ogni umano agire finisce per deteriorarsi, e con cui invece può progredire sulla via di un benessere per l’uomo che sia reale ed integrale.
La promozione integrale di ciascuna persona, di ogni comunità umana e di tutti gli uomini, è l’orizzonte ultimo di quel bene comune che la Chiesa si propone di realizzare quale «sacramento universale di salvezza»[1]. In questa integralità del bene, la cui origine e compimento ultimi sono in Dio, e che pienamente si è rivelata in Gesù Cristo, ricapitolatore di tutte le cose (cf. Ef 1, 10), consiste lo scopo ultimo di ogni attività ecclesiale. Tale bene fiorisce come anticipo di quel regno di Dio che la Chiesa è chiamata ad annunciare ed instaurare in ogni ambito dell’umana intrapresa[2]; ed è frutto peculiare di quella carità che, come via maestra dell’azione ecclesiale, è chiamata ad esprimersi anche in amore sociale, civile e politico. Questo amore «si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche “macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici”. Per questo la Chiesa ha proposto al mondo l’ideale di una “civiltà dell’amore”»[3]. L’amore al bene integrale, inseparabilmente dall’amore per la verità, è la chiave di un autentico sviluppo.
Ciò viene perseguito nella certezza che in tutte le culture ci sono molteplici convergenze etiche, espressione di una comune sapienza morale[4], sul cui ordine oggettivo si fonda la dignità della persona. Sulla solida ed indisponibile radice di tale ordine, che delinea dei chiari principi comuni, si basano i fondamentali diritti e doveri dell’uomo; senza di esso, l’arbitrio e l’abuso del più forte finiscono per dominare sulla scena umana. Questo ordine etico, radicato nella sapienza di Dio Creatore, è dunque l’indispensabile fondamento per edificare una degna comunità degli uomini regolata da leggi improntate a reale giustizia. Ciò tanto più vale di fronte alla constatazione che gli uomini, pur aspirando con tutto il loro cuore al bene e alla verità, spesso soccombono ad interessi di parte, a soprusi ed a prassi inique, da cui derivano gravi sofferenze per tutto il genere umano e specialmente per gli indifesi e i più deboli.
Proprio per liberare ogni ambito dell’agire umano da quel disordine morale che così frequentemente lo affligge, la Chiesa riconosce fra i suoi compiti primari anche quello di richiamare a tutti, con umile certezza, alcuni chiari principi etici. È la stessa ragione umana, la cui indole connota indelebilmente ciascuna persona, ad esigere un illuminante discernimento a questo riguardo. In continuazione, infatti, la razionalità umana cerca nella verità e nella giustizia quel solido fondamento su cui appoggiare il suo operare, nel presentimento che senza di esso verrebbe meno anche il suo stesso orientamento[5].
Tale retto orientamento della ragione non può dunque mancare in ogni settore dell’agire umano. Ciò significa che nessuno spazio in cui l’uomo agisce può legittimamente reclamare di essere estraneo, o di rimanere impermeabile, ad un’etica fondata sulla libertà, sulla verità, sulla giustizia e sulla solidarietà[6]. Questo vale anche per quegli ambiti in cui vigono le leggi della politica e dell’economia: «oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana» [7].
Ogni attività umana, infatti, è chiamata a produrre frutto disponendo, con generosità ed equità, di quei doni che Dio pone originariamente a disposizione di tutti e sviluppando con alacre fiducia quei semi di bene inscritti, come promessa di fecondità, nell’intera Creazione. Tale chiamata costituisce un invito permanente per l’umana libertà, anche se il peccato è sempre pronto ad insidiare questo originario progetto divino.
Per questo motivo, Dio viene incontro all’uomo in Gesù Cristo. Egli, coinvolgendoci nell’evento mirabile della sua Resurrezione, «non redime solo la singola persona ma anche le relazioni sociali»[8] ed opera per un nuovo ordine di rapporti sociali, fondati nella Verità e nell’Amore, che sia lievito fecondo di trasformazione della storia. In tal modo, egli anticipa nel corso del tempo quel Regno dei Cieli che è venuto ad annunciare ed inaugurare con la sua persona.
Benché il benessere economico globale si sia certamente accresciuto nel corso della seconda metà del XX secolo, con una misura e una rapidità mai sperimentate prima, occorre però constatare che nello stesso tempo sono aumentate le disuguaglianze tra i vari Paesi e al loro interno[9]. Continua inoltre ad essere ingente il numero delle persone che vive in condizioni di estrema povertà.
La recente crisi finanziaria poteva essere l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria, neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi e valorizzandone il servizio all’economia reale. Sebbene siano stati intrapresi molti sforzi positivi, a vari livelli, che vanno riconosciuti e apprezzati, non c’è stata però una reazione che abbia portato a ripensare quei criteri obsoleti che continuano a governare il mondo[10]. Anzi, pare talvolta ritornare in auge un egoismo miope e limitato al corto termine che, prescindendo dal bene comune, esclude dai suoi orizzonti la preoccupazione non solo di creare ma anche di diffondere ricchezza e di eliminare le disuguaglianze, oggi così pronunciate.
È in gioco l’autentico benessere della maggior parte degli uomini e delle donne del nostro pianeta, i quali rischiano di essere confinati in modo crescente sempre più ai margini, se non di essere «esclusi e scartati»[11] dal progresso e dal benessere reale, mentre alcune minoranze sfruttano e riservano per sé soltanto ingenti risorse e ricchezze, indifferenti alla condizione dei più. É perciò giunta l’ora di dar seguito ad una ripresa di ciò che è autenticamente umano, di allargare gli orizzonti della mente e del cuore, per riconoscere con lealtà ciò che proviene dalle esigenze della verità e del bene, e senza di cui ogni sistema sociale, politico ed economico è destinato alla lunga al fallimento ed all’implosione. É sempre più chiaro che l’egoismo alla fine non paga e fa pagare a tutti un prezzo troppo alto; perciò, se vogliamo il bene reale per gli uomini, «il denaro deve servire e non governare!»[12].
Al riguardo, spetta in primo luogo agli operatori competenti e responsabili elaborare nuove forme di economia e finanza, le cui prassi e regole siano rivolte al progresso del bene comune e rispettose della dignità umana, nel sicuro solco offerto dall’insegnamento sociale della Chiesa. Con questo documento, tuttavia, la Congregazione per la Dottrina della Fede, la cui competenza si estende anche alle questioni di natura morale, in collaborazione con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, intende offrire alcune considerazioni di fondo e puntualizzazioni a sostegno di quel progresso ed a difesa di quella dignità[13]. In particolare, si sente la necessità di intraprendere una riflessione etica circa taluni aspetti dell’intermediazione finanziaria, il cui funzionamento, quando è stato slegato da adeguati fondamenti antropologici e morali, non solo ha prodotto palesi abusi ed ingiustizie, ma si è anche rivelato capace di creare crisi sistemiche e di portata mondiale. Si tratta di un discernimento offerto a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Elementari considerazioni di fondo
Alcune elementari considerazioni risultano oggi evidenti agli occhi di tutti coloro che, al di là di ogni teoria o scuola di pensiero – nelle cui legittime discussioni tale documento non intende intervenire ed al cui dialogo vuol anzi contribuire, insieme alla consapevolezza che, comunque, non esistono ricette economiche valide universalmente ed in ogni momento – intendano lealmente prendere atto della situazione storica in cui viviamo.
Ogni realtà ed attività umana, se vissuta nell’orizzonte di un’etica adeguata, cioè nel rispetto della dignità umana ed orientandosi al bene comune, è positiva. Questo vale per tutte le istituzioni a cui dà vita la socialità umana ed anche per i mercati, ad ogni livello, compresi quelli finanziari.
A questo proposito occorre rimarcare che anche quei sistemi a cui danno vita i mercati, prima ancora che reggersi su anonime dinamiche, elaborate grazie a tecnologie sempre più sofisticate, si fondano su relazioni che non potrebbero essere instaurate senza il coinvolgimento della libertà di singoli uomini. È chiaro allora che la stessa economia, come ogni altro ambito umano, «ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona»[14].
Risulta quindi palese che senza un’adeguata visione dell’uomo non è possibile fondare né un’etica né una prassi all’altezza della sua dignità e di un bene che sia realmente comune. Di fatto, per quanto si proclami neutrale o avulsa da ogni concezione di fondo, ogni azione umana – anche in ambito economico – implica comunque una comprensione dell’uomo e del mondo, che rivela la sua positività o meno attraverso gli effetti e lo sviluppo che produce.
In questo senso, la nostra epoca ha rivelato il fiato corto di una visione dell’uomo individualisticamente inteso, prevalentemente consumatore, il cui profitto consisterebbe anzitutto in una ottimizzazione dei suoi guadagni pecuniari. La persona umana possiede infatti peculiarmente un’indole relazionale ed una razionalità alla perenne ricerca di un guadagno e di un benessere che siano interi, non riducibili ad una logica di consumo o agli aspetti economici della vita[15].
Tale fondamentale indole relazionale dell’uomo[16] è connotata in modo essenziale da una razionalità che resiste ad ogni riduzione reificante delle sue esigenze di fondo. A tal proposito, non è più possibile tacere che oggi vi è la tendenza a reificare ogni scambio di “beni”, riducendolo a mero scambio di “cose”.
In realtà, è evidente che nella trasmissione di beni fra soggetti vi è in gioco sempre più di qualcosa di materiale, dato che i beni materiali sono spesso veicolo di altri beni immateriali, la cui concreta presenza o assenza determina in modo decisivo anche la qualità degli stessi rapporti economici (ad esempio fiducia, equità, cooperazione…). Proprio a questo livello si può cogliere bene che la logica del dono senza contropartita non è alternativa ma inseparabile e complementare a quella dello scambio di equivalenti[17].
É facile scorgere i vantaggi derivanti da una visione dell’uomo inteso come soggetto costitutivamente inserito in una trama di relazioni che sono in sé una risorsa positiva[18]. Ogni persona nasce all’interno di un ambito familiare, vale a dire già all’interno di relazioni che la precedono, senza le quali sarebbe impossibile il suo stesso esistere. Essa sviluppa poi le tappe della sua esistenza sempre grazie a legami che attuano il suo porsi nel mondo come libertà continuamente condivisa. Sono proprio questi legami originari che rivelano l’uomo come essere relazionato ed essenzialmente connotato da ciò che la Rivelazione cristiana chiama “comunione”.
Questo originario carattere comunionale, mentre evidenzia in ogni persona umana una traccia di affinità con quel Dio che lo crea e che lo chiama ad una relazione di comunione con sé, è anche ciò che lo orienta naturalmente alla vita comunitaria, luogo fondamentale per la sua compiuta realizzazione. Proprio il riconoscimento di questo carattere, come elemento originariamente costitutivo della nostra identità umana, consente di guardare agli altri non anzitutto come a potenziali concorrenti, bensì come a possibili alleati nella costruzione di un bene che non è autentico se non riguarda tutti e ciascuno nello stesso tempo.
Tale antropologia relazionale aiuta l’uomo anche a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti, ad un benessere che se vuol essere tale è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Nessun profitto è infatti legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri[19]. Sono questi tre principi che si implicano e richiamano necessariamente l’un l’altro nella prospettiva della costruzione di un mondo che sia più equo e solidale.
Per tale motivo, ogni progresso del sistema economico non può considerarsi tale se misurato solo su parametri di quantità e di efficacia nel produrre profitto, ma va commisurato anche sulla base della qualità della vita che produce e dell’estensione sociale del benessere che diffonde, un benessere che non si può limitare solo ai suoi aspetti materiali. Ogni sistema economico legittima la sua esistenza non solo mediante la mera crescita quantitativa degli scambi, bensì documentando soprattutto la sua capacità di produrre sviluppo per tutto l’uomo e per ciascun uomo. Benessere e sviluppo si esigono e sostengono a vicenda[20], richiedendo politiche e prospettive sostenibili ben oltre il breve periodo[21].
A questo proposito, è auspicabile che specialmente le istituzioni universitarie e le business schools, all’interno dei loro curricula di studi, in un senso non marginale o accessorio bensì fondativo, prevedano dei corsi di formazione che educhino a comprendere l’economia e la finanza alla luce di una visione dell’uomo completa, non ridotta ad alcune sue dimensioni, e di un’etica che la esprima. Un grande aiuto in tal senso è offerto, ad esempio, dalla Dottrina sociale della Chiesa.
Il benessere va perciò valutato con criteri ben più ampi della produzione interna lorda di un Paese (PIL), tenendo invece conto anche di altri parametri, quali ad esempio la sicurezza, la salute, la crescita del “capitale umano”, la qualità della vita sociale e del lavoro. E il profitto va sempre perseguito ma mai “ad ogni costo”, né come referente totalizzante dell’azione economica.
Qui risulta paradigmatica l’importanza di parametri umanizzanti, di forme culturali e di mentalità in cui la gratuità – vale a dire la scoperta e l’attuazione del vero e del giusto come beni in sé – diviene la norma di ciò che è calcolato[22], ed in cui guadagno e solidarietà non sono più antagonisti. Infatti, laddove l’egoismo e gli interessi di parte prevalgono, è difficile per l’uomo scorgere quella circolarità feconda fra guadagno e dono che il peccato tende a offuscare e spezzare. Mentre, in una prospettiva pienamente umana, si instaura un circolo virtuoso fra profitto e solidarietà che, grazie al libero agire dell’uomo, può sprigionare tutte le potenzialità positive dei mercati.
Un richiamo permanente a riconoscere la convenienza umana della gratuità proviene da quella regola formulata da Gesù nel vangelo, chiamata regola d’oro, che ci invita a fare agli altri quello che vorremmo venisse fatto a noi (cf. Mt 7, 12; Lc 6, 31).
Ogni attività economica non può sostenersi alla lunga se non è vissuta in un clima di sana libertà d’iniziativa[23]. Oggi è altresì evidente che la libertà di cui godono gli attori economici, se intesa in modo assoluto e distolta dal suo intrinseco riferimento alla verità e al bene, tende però a generare centri di supremazia ed a inclinare verso forme di oligarchia che alla fine nuocciono alla stessa efficienza del sistema economico[24].
Da questo punto di vista, è sempre più facile scorgere come, di fronte al crescente e pervasivo potere di importanti agenti e grandi networks economico-finanziari, coloro che sarebbero deputati all’esercizio del potere politico, spesso disorientati e resi impotenti dalla sovranazionalità di quegli agenti e dalla volatilità dei capitali da questi gestiti, faticano nel rispondere alla loro originaria vocazione di servitori del bene comune, e accade anche che si trasformino in soggetti ancillari di interessi estranei a quel bene[25].
Tutto ciò rende quanto mai urgente una rinnovata alleanza, fra agenti economici e politici, nella promozione di ciò che serve al compiuto sviluppo di ciascuna persona umana e della società tutta, coniugando nel contempo le esigenze della solidarietà con quelle della sussidiarietà[26].
In linea di principio, tutte le dotazioni ed i mezzi di cui si avvalgono i mercati per potenziare la loro capacità allocativa, purché non rivolti contro la dignità della persona e non indifferenti al bene comune, sono moralmente ammissibili[27].
Tuttavia è altresì evidente che quel potente propulsore dell’economia che sono i mercati non è in grado di regolarsi da sé[28]: infatti essi non sanno né produrre quei presupposti che ne consentono il regolare svolgimento (coesione sociale, onestà, fiducia, sicurezza, leggi…), né correggere quegli effetti e quelle esternalità che risultano nocivi alla società umana (disuguaglianze, asimmetrie, degrado ambientale, insicurezza sociale, frodi…).
Inoltre, al di là del fatto che molti suoi operatori siano singolarmente animati da buone e rette intenzioni, non è possibile ignorare che oggi l’industria finanziaria, a causa della sua pervasività e della sua inevitabile capacità di condizionare e – in un certo senso – di dominare l’economia reale, è un luogo dove gli egoismi e le sopraffazioni hanno un potenziale di dannosità della collettività che ha pochi eguali.
A tal proposito, occorre rimarcare che nel mondo economico-finanziario si verificano delle condizioni in cui alcuni di questi mezzi, benché non immediatamente inaccettabili dal punto di vista etico, configurano però dei casi di immoralità prossima, vale a dire occasioni in cui molto facilmente si generano abusi e raggiri, specie ai danni della controparte meno avvantaggiata. Ad esempio, commercializzare alcuni strumenti finanziari, di per sé leciti, in una situazione di asimmetria, approfittando delle lacune cognitive o della debolezza contrattuale di una delle controparti, costituisce di per sé una violazione della debita correttezza relazionale ed è già una grave infrazione dal punto di vista etico.
Poiché, nella situazione attuale, la complessità di numerosi prodotti finanziari rende tale asimmetria un elemento intrinseco al sistema stesso – e che pone gli acquirenti in una posizione di inferiorità rispetto ai soggetti che li commercializzano – da più parti è stato richiesto il superamento del tradizionale principio di caveat emptor. Tale principio, in base al quale incomberebbe anzitutto sul compratore la responsabilità di accertare la qualità del bene acquisito, presuppone infatti una parità nella capacità di tutelare i propri interessi da parte dei contraenti. La qual cosa di fatto oggi in molti casi non esiste, sia per l’evidente rapporto gerarchico che viene ad instaurarsi in alcuni tipi di contratti (ad esempio fra mutuante e mutuatario), sia per la complessa strutturazione di numerose offerte finanziarie.
Anche il denaro è di per sé uno strumento buono, come molte cose di cui l’uomo dispone: è un mezzo a disposizione della sua libertà e serve ad allargare le sue possibilità. Questo mezzo può però ritorcersi facilmente contro l’uomo. Così anche la finanziarizzazione del mondo imprenditoriale, consentendo alle imprese di accedere al denaro mediante l’ingresso nel mondo della libera contrattazione della borsa, è di per sé positivo. Tale fenomeno, tuttavia, rischia oggi di accentuare anche una cattiva finanziarizzazione dell’economia, facendo sì che la ricchezza virtuale, concentrandosi soprattutto in transazioni caratterizzate dal mero intento speculativo ed in negoziazioni ad alta frequenza (high frequency trading), attiri a sé eccessive quantità di capitali, sottraendoli in tal modo ai circuiti virtuosi dell’economia reale[29].
Ciò che più di un secolo fa era stato preconizzato, si è oggi tristemente avverato: la rendita da capitale insidia ormai da vicino, e rischia di soppiantare, il reddito da lavoro, spesso confinato ai margini dei principali interessi del sistema economico. Ne consegue il fatto che il lavoro stesso, con la sua dignità, non solo divenga una realtà sempre più a rischio, ma perda altresì la sua qualifica di “bene” per l’uomo[30], trasformandosi in un mero mezzo di scambio all’interno di relazioni sociali rese asimmetriche.
Proprio in questa inversione di ordine fra mezzi e fini, per cui il lavoro da bene diviene “strumento” e il denaro da mezzo diviene “fine”, trova un fertile terreno quella spregiudicata ed amorale “cultura dello scarto” che ha emarginato grandi masse di popolazione, privandole di un lavoro degno e rendendole così «senza prospettive e senza vie di uscita»: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”»[31].
A tal proposito, come non pensare all’insostituibile funzione sociale del credito, la cui prestazione incombe in primo luogo ad abilitati ed affidabili intermediatori finanziari. In questo ambito, appare chiaro che applicare tassi d’interesse eccessivamente elevati, di fatto non sostenibili dai soggetti prenditori di fondi, rappresenta un’operazione non solo illegittima sotto il profilo etico ma anche disfunzionale alla sanità del sistema economico. Da sempre, simili pratiche, nonché comportamenti di fatto usurari, sono stati avvertiti dalla coscienza umana come iniqui e dal sistema economico come avversi al suo buon funzionamento.
Qui l’attività finanziaria rivela la sua primaria vocazione di servizio all’economia reale, chiamata com’è a creare valore, con mezzi moralmente leciti, ed a favorire una smobilitazione dei capitali allo scopo di generare una circolarità virtuosa di ricchezza[32]. Ad esempio, assai positive in tal senso, e da favorire, sono realtà quali il credito cooperativo, il microcredito, così come il credito pubblico a servizio delle famiglie, delle imprese, delle comunità locali e il credito di aiuto ai Paesi in via di sviluppo.
Mai come in questo ambito, in cui il denaro può manifestare tutte le sue potenzialità positive, appare chiaro che non è legittimo, dal punto di vista etico, esporre a indebito rischio il credito derivante dalla società civile utilizzandolo per scopi prevalentemente speculativi.
Un fenomeno inaccettabile sotto il profilo etico, non è il semplice guadagno ma l’avvalersi di un’asimmetria a proprio vantaggio per generare notevoli profitti a danno di altri; è lucrare sfruttando la propria posizione dominante con ingiusto svantaggio altrui o arricchirsi generando nocumento o turbative al benessere collettivo[33].
Tale prassi risulta particolarmente deplorevole dal punto di vista morale, quando il mero intento di guadagno da parte di pochi – magari di importanti fondi di investimento – mediante l’azzardo di una speculazione[34] volta a provocare artificiosi ribassi dei prezzi di titoli del debito pubblico, non si cura di influenzare negativamente o di aggravare la situazione economica di interi Paesi, mettendo a repentaglio non solo progetti pubblici di risanamento ma la stessa stabilità economica di milioni di famiglie, costringendo nel contempo le autorità governative ad intervenire con ingenti quantità di denaro pubblico, e giungendo perfino a determinare artificiosamente il corretto funzionamento dei sistemi politici.
L’intento speculativo, specie in ambito economico-finanziario, rischia oggi di soppiantare tutti gli altri principali intenti che sostanziano l’umana libertà. Questo fatto sta usurando l’immenso patrimonio di valori che fonda la nostra società civile come luogo di pacifica convivenza, di incontro, di solidarietà, di rigenerante reciprocità e di responsabilità in vista del bene comune. In questo contesto, parole quali “efficienza”, “competizione”, “leadership”, “merito”, tendono ad occupare tutto lo spazio della nostra cultura civile, assumendo un significato che finisce per impoverire la qualità degli scambi, ridotta a meri coefficienti numerici.
La qual cosa esige che sia intrapresa anzitutto una riscossa dell’umano, per riaprire gli orizzonti a quell’eccedenza di valori che sola permette all’uomo di ritrovare sé stesso, di costruire società che siano dimore ospitali ed inclusive, in cui vi è spazio per i più deboli e in cui la ricchezza viene utilizzata anche a vantaggio di tutti. Insomma, luoghi in cui per l’uomo è bello vivere ed è facile sperare.
Alcune puntualizzazioni nel contesto odierno
Allo scopo di offrire concreti e specifici orientamenti etici a tutti gli agenti economici e finanziari – da cui proviene sempre più una richiesta in tal senso – si intendono ora formulare alcune puntualizzazioni, in vista di un discernimento che tenga aperte le vie verso ciò che rende l’uomo davvero uomo e gli impedisca di mettere a repentaglio la sua dignità ed il bene comune[35].
Il mercato, grazie ai progressi della globalizzazione e della digitalizzazione, può essere paragonato ad un grande organismo, nelle cui vene scorrono, come linfa vitale, ingentissime quantità di capitali. Prendendo a prestito quest’analogia possiamo dunque parlare anche di una “sanità” di tale organismo, quando i suoi mezzi ed apparati realizzano una buona funzionalità del sistema, in cui crescita e diffusione della ricchezza vanno di pari passo. Una sanità del sistema che dipende dalla sanità delle singole azioni che vi vengono attuate. In presenza di una simile sanità del sistema-mercato è più facile che siano rispettati e promossi anche la dignità degli uomini ed il bene comune.
Correlativamente, tutte le volte che vengono introdotti e diffusi degli strumenti economico-finanziari non affidabili, i quali mettono in serio pericolo la crescita e la diffusione della ricchezza, creando anche criticità e rischi sistemici, si può parlare di una “intossicazione” di quell’organismo.
Si comprende così l’esigenza, oggi sempre più avvertita, di introdurre una certificazione da parte dell’autorità pubblica nei confronti di tutti i prodotti che provengono dall’innovazione finanziaria, allo scopo di preservare la sanità del sistema e prevenire effetti collaterali negativi. Favorire la sanità ed evitare l’inquinamento, anche dal punto di vista economico, è un imperativo morale ineludibile per tutti gli attori impegnati nei mercati. Anche questa esigenza mostra quanto sia urgente un coordinamento sovra-nazionale fra le diverse architetture dei sistemi finanziari locali[36].
Tale sanità si nutre di una molteplicità e diversità delle risorse che viene a costituire una sorta di “biodiversità” economica e finanziaria. La biodiversità rappresenta un valore aggiunto al sistema economico e va favorita e salvaguardata anche attraverso adeguate politiche economico-finanziarie, allo scopo di assicurare ai mercati la presenza di una pluralità di soggetti e strumenti sani, con ricchezza e diversità di caratteri; e ciò sia in positivo, sostenendone l’azione, sia in negativo, ostacolando tutti coloro che invece deteriorano la funzionalità del sistema che produce e diffonde ricchezza.
A questo proposito, occorre rimarcare che nel compito di produrre in modo sano del valore aggiunto all’interno dei mercati, una singolare funzione è realizzata dalla cooperazione. Una leale ed intensa sinergia degli agenti facilmente ottiene quell’eccedenza di valore a cui mira ogni attuazione economica[37].
Quando l’uomo riconosce la fondamentale solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini, sa bene che non può trattenere solo per sé i beni di cui dispone. Quando egli vive abitualmente nella solidarietà, i beni di cui dispone sono utilizzati non solo per i propri bisogni ed essi si moltiplicano, portando spesso un frutto inatteso anche per gli altri[38]. Proprio qui si può rilevare chiaramente come la condivisione non sia «solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni, creazione di nuovo pane, di nuovi beni, di nuovo Bene con la maiuscola»[39].
L’esperienza degli ultimi decenni ha mostrato con evidenza, da una parte, quanto sia ingenua la fiducia in una presunta autosufficienza allocativa dei mercati, indipendente da qualunque etica, e dall’altra, l’impellente necessità di una loro adeguata regolazione, che coniughi nello stesso tempo libertà e tutela di tutti i soggetti che vi operano in regime di una sana e corretta interazione, specialmente dei più vulnerabili. In questo senso, poteri politici e poteri economico-finanziari devono sempre rimanere distinti ed autonomi e nello stesso tempo essere finalizzati, al di là di ogni nociva contiguità, alla realizzazione di un bene che è tendenzialmente comune e non riservato solo a pochi e privilegiati soggetti[40].
Tale regolazione è resa ancor più necessaria sia dalla constatazione che fra i principali motivi della recente crisi economica vi sono anche condotte immorali di esponenti del mondo finanziario, sia dal fatto che la dimensione ormai sovra-nazionale del sistema economico consente di aggirare facilmente le regole stabilite dai singoli Paesi. Inoltre, l’estrema volatilità e mobilità dei capitali impiegati nel mondo finanziario permette a chi ne dispone di operare agevolmente al di là di ogni norma che non sia quella di un profitto immediato, spesso ricattando da una posizione di forza anche il potere politico di turno.
Perciò è chiaro che i mercati abbisognano di solidi e robusti orientamenti, sia macro-prudenziali che normativi, il più possibile condivisi ed uniformi; e di regole da aggiornare in continuazione, poiché la realtà stessa dei mercati è in continuo movimento. Simili orientamenti devono garantire un serio controllo dell’affidabilità e della qualità di tutti i prodotti economico-finanziari, specialmente di quelli più strutturati. E quando la velocità dei processi di innovazione produce eccessivi rischi sistemici, occorre che gli operatori economici accettino quei vincoli e quei freni che il bene comune esige, senza tentare di aggirarne o sminuirne la portata.
Importante, a questo riguardo, attesa l’attuale globalizzazione del sistema finanziario, è un coordinamento stabile, chiaro ed efficace, fra le varie autorità nazionali di regolazione dei mercati, con la possibilità e, a volte, anche la necessità di condividere con tempestività delle decisioni vincolanti quando ciò sia richiesto dalla messa in pericolo del bene comune. Tali autorità di regolazione devono sempre rimanere indipendenti e vincolate alle esigenze dell’equità e del bene comune. Le comprensibili difficoltà, a tal proposito, non devono scoraggiare dalla ricerca e dall’attuazione di simili sistemi normativi, che vanno concertati fra i vari Paesi ma la cui portata deve certo essere anche sovranazionale[41].
Le regole devono favorire una completa trasparenza di ciò che viene negoziato, allo scopo di eliminare ogni forma di ingiustizia e sperequazione, garantendo il più possibile un equilibrio negli scambi. Tanto più che la concentrazione asimmetrica di informazioni e potere tende a rafforzare i soggetti economici più forti, creando egemonie capaci di influenzare unilateralmente non solo i mercati ma anche gli stessi sistemi politici e normativi. Fra l’altro, laddove è stata praticata una massiva deregulation è risultato evidente che gli spazi di vuoto normativo e istituzionale rappresentano luoghi favorevoli non solo all’azzardo morale e alla malversazione ma anche al sorgere di esuberanze irrazionali dei mercati – a cui seguono dapprima bolle speculative e, poi, repentini e rovinosi crolli – e di crisi sistemiche[42].
Un grande aiuto, allo scopo di evitare crisi sistemiche, sarebbe delineare una chiara definizione e separazione, per gli intermediatori bancari di credito, dell’ambito dell’attività di gestione del credito ordinario e del risparmio da quello destinato all’investimento e al mero business[43]. Tutto ciò allo scopo di evitare il più possibile situazioni di instabilità finanziaria.
Una sanità del sistema finanziario esige inoltre la massima informazione possibile, così che ogni soggetto possa tutelare in piena e consapevole libertà i suoi interessi: è infatti importante sapere se i propri capitali vengono impiegati a fini speculativi o meno, così come conoscere chiaramente il grado di rischio e la congruità del prezzo dei prodotti finanziari che si sottoscrivono. Tanto più che solitamente il risparmio, specie quello familiare, è un bene pubblico da tutelare e cerca un’ottimizzazione avversa al rischio. Lo stesso risparmio, quando viene affidato alle mani esperte dei consulenti finanziari, esige di essere ben amministrato e non semplicemente gestito.
Sono da segnalare, fra i comportamenti moralmente criticabili nella gestione del risparmio da parte dei consulenti finanziari: una eccessiva movimentazione del portafoglio dei titoli allo scopo prevalente di accrescere i ricavi derivanti dalle commissioni per l’intermediario; un venir meno della debita terzietà nell’offerta di strumenti di risparmio, in regime di comparaggio con alcune banche, quando prodotti di altri meglio si attaglierebbero alle esigenze del cliente; la mancanza di un’adeguata diligenza, o addirittura una negligenza dolosa, da parte dei consulenti, circa la tutela degli interessi relativi al portafoglio dei propri clienti; la concessione di un finanziamento, da parte di un intermediatore bancario, in via subordinata alla contestuale sottoscrizione di altri prodotti finanziari emessi dal medesimo, magari non convenienti al cliente.
Ogni impresa costituisce un’importante rete di relazioni e, a suo modo, rappresenta un vero corpo sociale intermedio, con una sua propria cultura e prassi. Tali cultura e prassi, mentre determinano l’organizzazione interna all’impresa, influiscono altresì sul tessuto sociale nel quale essa agisce. Proprio a questo livello, la Chiesa richiama l’importanza di una responsabilità sociale dell’impresa[44], la quale si esplicita sia ad extra che ad intra della medesima.
In tal senso, laddove il mero profitto viene collocato al vertice della cultura di un’impresa finanziaria, ignorando le contemporanee esigenze del bene comune – la qual cosa oggi è segnalata come fatto assai diffuso anche in prestigiose business schools – ogni istanza etica viene di fatto percepita come estrinseca e giustapposta all’azione imprenditoriale. Ciò è tanto più accentuato dal fatto che, in tali logiche organizzative, coloro che non si adeguano a target aziendali di questo tipo, vengono penalizzati sia a livello retributivo che a quello del riconoscimento professionale. In questi casi, lo scopo del mero lucro genera facilmente una logica perversa e selettiva che spesso favorisce l’avanzamento ai vertici aziendali di soggetti capaci ma avidi e spregiudicati, la cui azione sociale è spinta prevalentemente da un egoistico tornaconto personale.
Inoltre, tali logiche hanno sovente spinto i management a realizzare politiche economiche volte non ad incrementare la sanità economica delle aziende che servivano ma i meri profitti degli azionisti (shareholders), danneggiando così i legittimi interessi di cui sono portatori tutti coloro che con il loro lavoro e servizio operano a vantaggio della medesima impresa, nonché i consumatori e le varie comunità locali (stakeholders). Ciò, spesso incentivato da ingenti remunerazioni proporzionate a risultati immediati di gestione, per di più non controbilanciate da equivalenti penalizzazioni in caso di fallimento degli obiettivi, che, se nel breve periodo assicurano grandi guadagni a manager e azionisti, finiscono poi per spingere a prese di rischio eccessive e per lasciare le imprese debilitate e depauperate di quelle energie economiche che avrebbero loro assicurato adeguate prospettive per il futuro.
Tutto ciò facilmente genera e diffonde una cultura profondamente amorale – in cui spesso non si esita a commettere un reato quando i benefici previsti eccedono le penalità attese – ed inquina gravemente la sanità di ogni sistema economico-sociale, mettendone a repentaglio la funzionalità e nuocendo alla fattiva realizzazione di quel bene comune su cui si fonda necessariamente ogni forma di socialità.
Risulta perciò urgente una sincera autocritica al riguardo ed una inversione di tendenza, favorendo invece una cultura aziendale e finanziaria che tenga conto di tutti quei fattori che costituiscono il bene comune. Ciò significa, ad esempio, mettere chiaramente la persona e la qualità delle relazioni fra le persone al centro della cultura aziendale, così che ogni impresa pratichi una forma di responsabilità sociale che non sia meramente occasionale o marginale, bensì innervi ed animi dal di dentro ogni sua azione, orientandola socialmente.
Esattamente qui, la naturale circolarità che esiste fra profitto – fattore intrinsecamente necessario ad ogni sistema economico – e responsabilità sociale – elemento essenziale per la sopravvivenza di ogni forma di civile convivenza – è chiamata a rivelare tutta la sua fecondità, mostrando altresì il nesso indissolubile, che il peccato tende a nascondere, fra un’etica rispettosa delle persone e del bene comune e la reale funzionalità di ogni sistema economico e finanziario. Tale circolarità virtuosa è favorita ad esempio dal perseguimento di una riduzione del rischio di conflitto con gli stakeholders, come dal favorire una maggiore motivazione intrinseca dei dipendenti di un’impresa.
Qui la creazione di valore aggiunto, che è scopo primario del sistema economico-finanziario, deve mostrare fino in fondo la sua praticabilità all’interno di un sistema etico solido proprio perché fondato su di una sincera ricerca del bene comune. Solo dal riconoscimento e dall’attuazione dell’intrinseco legame che esiste fra ragione economica e ragione etica, infatti, può scaturire un bene che sia per tutti gli uomini[45]. Perché anche il mercato, per funzionare bene, ha bisogno di presupposti antropologici ed etici che da solo non è in grado di darsi né di produrre.
Se, da una parte, il merito creditizio esige un’oculata attività di selezione per individuare beneficiari effettivamente degni, capaci di innovazione e al riparo da insane collusioni, dall’altra anche le banche, per sostenere adeguatamente i rischi affrontati, devono disporre di convenienti dotazioni patrimoniali, di modo che un’eventuale socializzazione delle perdite sia il più possibile limitata e ricada soprattutto su coloro che ne sono stati effettivamente responsabili.
Certamente, la delicata gestione del risparmio, oltre ad una debita regolazione giuridica, esige anche paradigmi culturali adeguati, insieme alla pratica di un’attenta rivisitazione, anche in prospettiva etica, del rapporto fra banca e cliente e di un continuo presidio della legittimità di tutte le operazioni che lo riguardano.
Un’interessante proposta, volta a procedere nella suddetta direzione e da sperimentare, sembra quella relativa all’istituzione di Comitati etici, in seno alle banche, da affiancare ai Consigli di Amministrazione. Tutto ciò affinché le banche siano aiutate, non solo a preservare i loro bilanci dalle conseguenze di sofferenze e perdite, e ad una effettiva coerenza fra la mission statutaria e la prassi finanziaria, ma anche a sostenere adeguatamente l’economia reale.
La creazione di titoli di credito fortemente rischiosi – che operano di fatto una sorta di creazione fittizia di valore, senza un adeguato quality control ed una corretta valutazione del credito – può arricchire coloro che li intermediano ma crea facilmente insolvenza a danno di chi deve poi riscuoterli; ciò vale tanto più se il peso della criticità di questi titoli, dall’istituto che li emette, viene scaricato sul mercato nel quale sono spalmati e diffusi (cf. ad esempio cartolarizzazione dei mutui subprime), generando intossicazione a largo raggio e difficoltà potenzialmente sistemiche. Un simile inquinamento dei mercati contraddice la necessaria sanità del sistema economico-finanziario ed è inaccettabile dal punto di vista di un’etica rispettosa del bene comune.
Ad ogni titolo di credito deve corrispondere un valore tendenzialmente reale e non solo presunto e difficilmente riscontrabile. In tal senso, si rende sempre più urgente una pubblica regolazione e valutazione super partes dell’operato delle agenzie di rating del credito, con strumenti giuridici che consentano, da una parte, di sanzionarne le azioni distorte e, dall’altra, di impedire il crearsi di situazioni di pericoloso oligopolio da parte di alcune di esse. Ciò tanto più vale in presenza di prodotti del sistema di intermediazione creditizia in cui la responsabilità del credito concesso viene scaricata dal prestatore originario su coloro che ad esso subentrano.
Alcuni prodotti finanziari, fra cui i cosiddetti “derivati”, sono stati creati allo scopo di garantire un’assicurazione sui rischi inerenti a determinate operazioni, spesso contenenti anche una scommessa effettuata sulla base del valore presunto attribuito a quei rischi. Alla base di tali strumenti finanziari stanno contratti in cui le parti sono ancora in grado di valutare ragionevolmente il rischio fondamentale su cui ci si vuole assicurare.
Tuttavia, per alcune tipologie di derivati (in particolare le cosiddette cartolarizzazioni o securitizations) si è assistito al fatto che a partire dalle strutture originarie, e collegate ad investimenti finanziari individuabili, venivano costruite strutture sempre più complesse (cartolarizzazioni di cartolarizzazioni), in cui è assai difficile – dopo varie di queste transazioni, quasi impossibile – stabilire in modo ragionevole ed equo il loro valore fondamentale. Ciò significa che ogni passaggio, nella compravendita di questi titoli, al di là del volere delle parti, opera di fatto una distorsione del valore effettivo di quel rischio da cui invece lo strumento dovrebbe tutelare. Tutto questo ha quindi favorito il sorgere di bolle speculative, le quali sono state importanti concause della recente crisi finanziaria.
È evidente che l’aleatorietà sopravvenuta di questi prodotti – la dissolvenza crescente della trasparenza di ciò che assicurano – che nell’operazione originaria ancora non emerge, li rende sempre meno accettabili dal punto di vista di un’etica rispettosa della verità e del bene comune, poiché li trasforma in una sorta di ordigni ad orologeria, pronti a deflagrare prima o poi la loro inattendibilità economica e ad intossicare la sanità dei mercati. Si verifica qui una carenza etica che diviene tanto più grave quanto più tali prodotti sono negoziati sui cosiddetti mercati non regolamentati (over the counter) – esposti più dei mercati regolamentati all’azzardo, quando non alla frode – e sottraggono linfa vitale ed investimenti all’economia reale.
Simile valutazione etica può essere effettuata anche nei confronti di quegli utilizzi dei credit default swap (CDS: i quali sono particolari contratti assicurativi del rischio da fallimento) che permettono di scommettere sul rischio di fallimento di una terza parte anche a chi non ha già assunto in precedenza un rischio di credito, e addirittura di reiterare tali operazioni sul medesimo evento, la qual cosa non è assolutamente consentita dai normali patti di assicurazione.
Il mercato dei CDS, alla vigilia della crisi finanziaria del 2007, era così imponente da rappresentare all’incirca l’equivalente dell’intero PIL mondiale. Il diffondersi senza adeguati limiti di tale tipo di contratti, ha favorito il crescere di una finanza dell’azzardo e della scommessa sul fallimento altrui, che rappresenta una fattispecie inaccettabile dal punto di vista etico.
Infatti l’operatività in acquisto di tali strumenti, da parte di chi non ha alcun rischio di credito già in essere, costituisce un singolare caso in cui dei soggetti iniziano a nutrire interesse per la rovina di altre entità economiche, e possono addirittura indursi ad operare in tal senso.
È evidente che tale possibilità, se da una parte configura un evento particolarmente riprovevole sotto il profilo morale, poiché chi agisce lo fa in vista di una sorta di cannibalismo economico, dall’altra finisce per minare quella necessaria fiducia di base senza cui il circuito economico finirebbe per bloccarsi. Anche in questo caso, possiamo rilevare come un evento negativo dal punto di vista etico, diviene nocivo anche per la sana funzionalità del sistema economico.
È quindi da rimarcare che, quando da simili scommesse possono derivare ingenti danni per interi Paesi e milioni di famiglie, si è di fronte ad azioni estremamente immorali ed appare quindi opportuno estendere i divieti, già presenti in alcuni Paesi, per tale tipologia di operatività, sanzionando con la massima severità tali infrazioni.
In un punto nevralgico del dinamismo che regola i mercati finanziari stanno sia il livello (fixing) del tasso d’interesse relativo ai prestiti interbancari (LIBOR), la cui quantificazione funge da tasso d’interesse guida nel mercato monetario, sia i tassi di cambio ufficiali delle diverse valute praticati dalle banche.
Si tratta di parametri importanti che hanno ricadute rilevanti sull’intero sistema economico-finanziario, poiché influiscono su ingenti trasferimenti quotidiani di denaro tra parti che sottoscrivono contratti basati proprio sulla misura di tali tassi. La manipolazione della misura di questi tassi costituisce perciò un caso di grave violazione etica, con conseguenze ad ampio raggio.
Il fatto che ciò sia potuto accadere impunemente per diversi anni mostra quanto sia fragile ed esposto alle frodi un sistema finanziario non sufficientemente controllato da regole e sprovvisto di sanzioni proporzionate alle violazioni in cui incorrono i suoi attori. In questo ambito, la costituzione di veri e propri “cartelli” di connivenza fra quei soggetti che invece erano preposti al corretto fixing del livello di quei tassi costituisce un caso di associazione a delinquere particolarmente nocivo per il bene comune, che infligge una pericolosa ferita alla sanità del sistema economico, da punire con pene adeguate e tali da scoraggiarne la reiterazione.
Oggi i principali soggetti che operano nel mondo finanziario, e specialmente le banche, devono essere dotati di organismi interni che garantiscano una funzione di compliance, ovvero di auto-controllo della legittimità dei principali passi del processo decisionale e dei maggiori prodotti offerti dall’impresa. Tuttavia, occorre rilevare che, per lo meno fino ad un passato molto recente, la prassi del sistema economico-finanziario spesso si è fondata in buona sostanza su di un giudizio puramente “negativo” della funzione di compliance, vale a dire su di un ossequio meramente formale dei limiti posti dalle leggi in vigore. Purtroppo da ciò è derivata anche la frequenza di una prassi di fatto elusiva dei controlli normativi, cioè di azioni volte ad aggirare i principi normativi vigenti con la preoccupazione però di non contraddire esplicitamente le norme che li esprimono, allo scopo di non subirne poi le sanzioni.
Per evitare tutto ciò, è dunque necessario che il giudizio di compliance entri nel merito delle diverse operazioni anche in “positivo”, verificando la loro effettiva rispondenza ai principi che informano la normativa vigente. L’operato della funzione in questa modalità, a parere di molti, risulterebbe agevolato qualora si assistesse all’istituzione di Comitati etici, operanti a fianco dei Consigli di amministrazione, che costituirebbero un naturale interlocutore di coloro che debbono garantire, nel concreto operare della banca, la conformità dei comportamenti alle ragioni delle normative in essere.
In tal senso, all’interno dell’azienda occorrerebbe prevedere delle linee guida che consentano di agevolare un simile giudizio di rispondenza, così che si possa discernere quali, fra le operazioni tecnicamente realizzabili sotto il profilo giuridico, siano nei fatti anche legittime e praticabili dal punto di vista etico (questione che si pone, ad esempio, in modo molto rilevante per le pratiche di elusione fiscale). In modo che si passi da un ossequio formale ad uno sostanziale nel rispetto delle regole.
Inoltre, è auspicabile che anche nel sistema normativo regolante il mondo finanziario sia prevista una clausola generale che dichiari illegittimi, con conseguente responsabilizzazione patrimoniale di tutti i soggetti a cui questi sono imputabili, quegli atti il cui fine sia prevalentemente l’aggiramento delle normative vigenti.
Non è più possibile ignorare fenomeni quali il diffondersi nel mondo di sistemi bancari collaterali (Shadow banking system), i quali, benché comprendano al loro interno anche tipologie di intermediari la cui operatività non appare immediatamente critica, di fatto hanno determinato una perdita di controllo sul sistema da parte di varie autorità di vigilanza nazionali e quindi, di fatto, hanno favorito in modo sconsiderato l’uso della cosiddetta finanza creativa, nella quale il motivo principale dell’investimento di risorse finanziarie è soprattutto di carattere speculativo, se non predatorio, e non un servizio all’economia reale. Ad esempio, molti convengono che l’esistenza di tali sistemi “ombra” sia una delle principali concause che hanno favorito lo sviluppo e la diffusione globale della recente crisi economico-finanziaria, iniziatasi in USA con quella dei mutui subprime nell’estate del 2007.
Proprio di tale intento speculativo si nutre inoltre il mondo della finanza offshore, che, pur offrendo anche altri leciti servizi, mediante gli assai diffusi canali dell’elusione fiscale – quando non addirittura dell’evasione e del riciclaggio di denaro frutto di reati – costituisce un ulteriore impoverimento del normale sistema di produzione e distribuzione di beni e di servizi. È arduo distinguere se molte di tali situazioni diano vita a fattispecie di immoralità prossima o immediata: certamente è ormai evidente che tali realtà, laddove sottraggono ingiustamente linfa vitale all’economia reale, difficilmente possono trovare una legittimazione, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista dell’efficienza globale dello stesso sistema economico.
Anzi, sempre più pare evidente un non trascurabile grado di correlazione fra comportamenti non etici degli operatori e ed esiti fallimentari del sistema nel suo complesso: è ormai innegabile che le carenze etiche esacerbano le imperfezioni dei meccanismi del mercato[46].
Nella seconda metà del secolo scorso, nasce il mercato offshore degli eurodollari, luogo finanziario di scambi al di fuori di ogni quadro normativo ufficiale. Mercato che da un importante Paese europeo si è poi diffuso in altri Paesi del mondo, dando luogo ad una vera e propria rete finanziaria, alternativa al sistema finanziario ufficiale, ed a giurisdizioni che la proteggevano.
Al riguardo, occorre dire che se la ragione formale che viene addotta, per legittimare la presenza delle sedi offshore, è quella di permettere agli investitori istituzionali di non subire una doppia tassazione, dapprima nel Paese della loro residenza e poi nel Paese dove i fondi sono domiciliati, in realtà quei luoghi sono a tutt’oggi divenuti in misura rilevante occasione di operazioni finanziarie sovente border line, quando non beyond the pale, sia dal punto di vista della loro liceità sotto il profilo normativo, sia da quello etico, vale a dire di una cultura economica sana ed esente da meri intenti di elusione fiscale.
Oggi più della metà del commercio mondiale viene effettuato da grandi soggetti che abbattono il proprio carico fiscale spostando i ricavi da una sede all’altra, a seconda di quanto loro convenga, trasferendo i profitti nei paradisi fiscali e i costi nei Paesi ad elevata imposizione tributaria. Appare chiaro che tutto ciò ha sottratto risorse decisive all’economia reale e contribuito a generare sistemi economici fondati sulla disuguaglianza. Inoltre, non è possibile tacere che quelle sedi offshore, in più occasioni sono divenute luoghi abituali per il riciclaggio di denaro “sporco”, vale a dire frutto di proventi illeciti (furti, frodi, corruzioni, associazioni a delinquere, mafia, bottini di guerra…).
In tal modo, dissimulando il fatto che le operazioni cosiddette offshore non avvenivano sulle loro piazze finanziarie ufficiali, alcuni Stati hanno consentito che si traesse profitto persino da reati, sentendosene tuttavia deresponsabilizzati poiché non realizzati formalmente sotto la loro giurisdizione. La qual cosa rappresenta, dal punto di vista morale, un’evidente forma di ipocrisia.
In breve tempo, tale mercato è divenuto il luogo di maggior transito di capitali, poiché la sua configurazione rappresenta una via facile per realizzare diverse e importanti forme di elusione fiscale. Si comprende allora che la domiciliazione offshore di molti e importanti società impegnate nel mercato risulta assai ambita e praticata.
Certamente, il sistema tributario approntato dagli Stati non sembra sempre equo; a tal proposito, occorre rilevare come tale iniquità va spesso a discapito dei soggetti economici più deboli ed a vantaggio di quelli più attrezzati e in grado di influire persino sui sistemi normativi che regolano gli stessi tributi. In realtà, un’imposizione dei tributi, quando è equa, svolge una fondamentale funzione perequativa e di redistribuzione della ricchezza, non solo in favore di coloro che necessitano opportune sovvenzioni, ma anche per sostenere gli investimenti e la crescita dell’economia reale.
In ogni caso, proprio l’elusione fiscale da parte dei principali attori che si muovono sui mercati, specie dei grandi intermediari finanziari, rappresentando un’ingiusta sottrazione di risorse all’economia reale, è un danno per tutta la società civile.
Attesa la non trasparenza di quei sistemi, è difficile stabilire con precisione l’ammontare dei capitali che transitano in essi; tuttavia è stato calcolato che basterebbe una minima tassa sulle transazioni compiute offshore per risolvere buona parte del problema della fame nel mondo: perché non intraprendere con coraggio la via di una simile iniziativa?
Inoltre, è stato accertato che l’esistenza delle sedi offshore ha favorito altresì un enorme deflusso di capitali da molti Paesi a basso reddito, generando numerose crisi politiche ed economiche e impedendo ad essi di intraprendere finalmente la via della crescita e di un sano sviluppo.
A tal proposito, è da segnalare che, più volte, diverse istituzioni internazionali hanno denunciato tutto ciò e non pochi governi nazionali hanno giustamente cercato di limitare la portata delle piazze finanziarie offshore. Vi sono stati anche molti sforzi positivi in tal senso, specialmente negli ultimi dieci anni. Non si è tuttavia riusciti finora ad imporre accordi e normative adeguatamente efficaci in tal senso; gli schemi normativi proposti in materia anche da autorevoli organizzazioni internazionali sono anzi stati spesso inapplicati o resi inefficaci, a motivo delle notevoli influenze che quelle piazze riescono ad esercitare, attesi gli ingenti capitali di cui dispongono, nei confronti di tanti poteri politici.
Tutto ciò, mentre costituisce un grave danno alla buona funzionalità dell’economia reale, rappresenta una struttura che, così come oggi è configurata, risulta del tutto inaccettabile dal punto di vista etico. È quindi necessario ed urgente che a livello internazionale siano approntati opportuni rimedi a tali iniqui sistemi; anzitutto praticando ad ogni livello la trasparenza finanziaria (ad esempio con l’obbligo di rendicontazione pubblica, per le aziende multinazionali, delle rispettive attività e delle imposte versate in ciascun Paese in cui operano tramite proprie società sussidiarie); ed anche con incisive sanzioni da comminare nei confronti di quei Paesi che reiterano le prassi disoneste (evasione ed elusione fiscale, riciclaggio di denaro sporco) di cui sopra.
Il sistema offshore, specie per i Paesi le cui economie sono meno sviluppate, ha finito per aggravare il loro debito pubblico. È stato infatti rilevato come la ricchezza privata accumulata nei paradisi fiscali da alcune élite ha quasi eguagliato il debito pubblico dei rispettivi Paesi. Ciò evidenzia altresì come, di fatto, all’origine di quel debito vi siano sovente dei passivi economici generati da soggetti privati e poi scaricati sulle spalle del sistema pubblico. Fra l’altro, è noto che importanti soggetti economici tendono a perseguire stabilmente, spesso con la connivenza dei politici, una prassi di socializzazione delle perdite.
Tuttavia è bene rilevare come il debito pubblico spesso è anche generato da una malaccorta – quando non dolosa – gestione del sistema amministrativo pubblico. Tale debito, vale a dire l’insieme delle passività finanziarie che pesa sugli Stati, rappresenta oggi uno dei maggiori ostacoli al buon funzionamento ed alla crescita delle varie economie nazionali. Numerose economie nazionali sono infatti appesantite dal dover far fronte al pagamento degli interessi che provengono da quel debito e devono perciò doverosamente intraprendere degli aggiustamenti strutturali a tale scopo.
Di fronte a tutto ciò, da una parte, i singoli Stati sono chiamati a correre ai ripari con adeguate gestioni del sistema pubblico mediante sagge riforme strutturali, assennate ripartizioni delle spese ed oculati investimenti; dall’altra parte, a livello internazionale, pur mettendo ogni Paese di fronte alle sue ineludibili responsabilità, occorre anche consentire e favorire delle ragionevoli vie d’uscita dalle spirali del debito, non mettendo sulle spalle degli Stati – e quindi sulle spalle dei loro concittadini, vale a dire di milioni di famiglie – degli oneri che di fatto risultano insostenibili.
Ciò anche mediante politiche di ragionevole e concordata riduzione del debito pubblico, specie quando questo è detenuto da soggetti di tale consistenza economica da essere in grado di offrirla[47]. Simili soluzioni sono richieste sia dalla sanità del sistema economico internazionale, al fine di evitare il contagio di crisi potenzialmente sistemiche, sia dal perseguimento del bene comune dei popoli nel loro insieme.
Tutto ciò di cui abbiamo parlato finora non è soltanto opera di entità che agiscono fuori dal nostro controllo ma ricade anche nella sfera delle nostre responsabilità. Questo significa che abbiamo a nostra disposizione strumenti importanti per poter contribuire alla soluzione di tanti problemi. Ad esempio, i mercati vivono grazie alla domanda ed all’offerta di beni: a questo proposito, ciascuno di noi può influire in modo decisivo almeno nel dar forma a quella domanda.
Risulta pertanto quanto mai importante un esercizio critico e responsabile del consumo e dei risparmi. Fare la spesa, impegno quotidiano con cui ci dotiamo anzitutto del necessario per vivere, è altresì una forma di scelta che operiamo fra i vari prodotti che il mercato offre. É una scelta con cui optiamo sovente in modo non consapevole per beni la cui produzione avviene magari attraverso filiere in cui è normale la violazione dei più elementari diritti umani o grazie all’opera di aziende la cui etica di fatto non conosce altri interessi al di fuori di quelli del profitto ad ogni costo dei loro azionisti.
Occorre orientarci alla scelta di quei beni alle cui spalle sta un percorso degno dal punto di vista etico, poiché anche attraverso il gesto, apparentemente banale, del consumo noi esprimiamo nei fatti un’etica e siamo chiamati a prendere posizione di fronte a ciò che giova o nuoce all’uomo concreto. Qualcuno ha parlato a questo proposito di “voto col portafoglio”: si tratta infatti di votare quotidianamente nei mercati a favore di ciò che aiuta il benessere reale di noi tutti e di rigettare ciò che ad esso nuoce[48].
Medesime considerazioni devono farsi anche nei confronti della gestione dei propri risparmi, ad esempio indirizzandoli verso quelle aziende che operano con chiari criteri, ispirati ad un’etica rispettosa di tutto l’uomo e di tutti gli uomini ed in un orizzonte di responsabilità sociale[49]. E, più in generale, ciascuno è chiamato a coltivare pratiche di produzione della ricchezza che siano consoni alla nostra indole relazionale e protese ad uno sviluppo integrale della persona.
Conclusione
Davanti all’imponenza e pervasività degli odierni sistemi economico-finanziari, potremmo essere tentati di rassegnarci al cinismo ed a pensare che con le nostre povere forze possiamo fare ben poco. In realtà, ciascuno di noi può fare molto, specialmente se non rimane solo.
Numerose associazioni provenienti dalla società civile rappresentano in tal senso una riserva di coscienza e di responsabilità sociale di cui non possiamo fare a meno. Oggi più che mai, siamo tutti chiamati a vigilare come sentinelle della vita buona ed a renderci interpreti di un nuovo protagonismo sociale, improntando la nostra azione alla ricerca del bene comune e fondandola sui saldi principi della solidarietà e della sussidiarietà.
Ogni gesto della nostra libertà, anche se può apparire fragile ed insignificante, se davvero orientato al bene autentico, si appoggia a Colui che è Signore buono della storia, e diviene parte di una positività che supera le nostre povere forze, unendo indissolubilmente tutti gli atti di buona volontà in una rete che collega cielo e terra, vero strumento di umanizzazione dell’uomo e del mondo. È questo ciò di cui abbiamo bisogno per vivere bene e per nutrire una speranza che sia all’altezza della nostra dignità di persone umane.
La Chiesa, Madre e Maestra, consapevole di aver ricevuto in dono un deposito immeritato, offre agli uomini e alle donne di ogni tempo le risorse per una speranza affidabile. Maria, Madre del Dio fatto uomo per noi, prenda per mano i nostri cuori e li guidi nella sapiente costruzione di quel bene che suo figlio Gesù, mediante la sua umanità resa nuova dallo Spirito Santo, è venuto ad inaugurare per la salvezza del mondo.
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[1] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.
[2] Cf. ibid., n. 5.
[3] Francesco, Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), n. 231: AAS 107 (2015), 937.
[4] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), n. 59: AAS 101 (2009), 694.
[5] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), n. 98: AAS 91 (1999), 81.
[6] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, n. 87, Città del Vaticano 2009, 86.
[7] Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 189: AAS 107 (2015), 922.
[8] Id., Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 178: AAS 105 (2013), 1094.
[9] Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Nota per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, n. 1: L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, 6.
[10] Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 189: AAS 107 (2015), 922.
[11] Id., Esort. ap. Evangelii gaudium, n. 53: AAS 105 (2013), 1042.
[12] Ibid., n. 58: AAS 105 (2013), 1044.
[13] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae, n. 14.
[14] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 45: AAS 101 (2009), 681.
[15] Cf. ibid., n. 74: AAS 101 (2009), 705.
[16] Cf. Francesco, Discorso al Parlamento Europeo (25 novembre 2014), Strasburgo: AAS 106 (2014), 997-998.
[17] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 37: AAS 101 (2009), 672.
[18] Cf. ibid., n. 55: AAS 101 (2009), 690.
[19] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollecitudo rei socialis (30 dicembre 1987), n. 42: AAS 80 (1988), 572.
[20] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1908.
[21] Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 13: AAS 107 (2015), 852; Esort. apost. Amoris laetitia (19 marzo 2016), n. 44: AAS 108 (2016), 327.
[22] Cf. ad esempio il motto ora et labora, che richiama la Regola di San Benedetto da Norcia: nella sua semplicità esso indica che la preghiera, specialmente quella liturgica, mentre ci apre al rapporto con quel Dio che in Gesù Cristo e nel suo Spirito si rivela come Bene e Verità, offre in tal modo anche la forma adeguata e la via per costruire un mondo più buono e più vero, cioè più umano.
[23] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), nn. 17, 24, 42: AAS 83 (1991), 814, 821, 845.
[24] Cf. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno (15 maggio 1931), n. 105: AAS 23 (1931), 210; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), n. 9: AAS 59 (1967), 261; Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 203: AAS 107 (2015), 927.
[25] Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 175: AAS 107 (2015), 916. Sulla necessaria connessione fra economia e politica, cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 36: AAS 101 (2009), 671: «L’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l’agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione».
[26] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 58: AAS 101 (2009), 693.
[27] Cf. Conc. ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 64.
[28] Cf. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno, n. 89: AAS 23 (1931), 206; Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 35: AAS 101(2009), 670; Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium, n. 204: AAS 105 (2013), 1105.
[29] Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 109: AAS 107 (2015), 891.
[30] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens (14 settembre 1981), n. 9: AAS 73 (1981), 598.
[31] Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium, n. 53: AAS 105 (2013), 1042.
[32] Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 369.
[33] Cf. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno, n. 132: AAS 23 (1931), 219; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, n. 24: AAS 59 (1967), 269.
[34] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2409.
[35] Cf. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, n. 13: AAS 59 (1967), 263. Alcune importanti indicazioni sono già state offerte al riguardo (cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Nota per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, n. 4: L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, 7): si tratta ora di proseguire nella linea di un simile discernimento, così da favorire uno sviluppo positivo del sistema economico-finanziario e contribuire ad eliminare quelle strutture di ingiustizia che ne limitano le benefiche potenzialità.
[36] Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 198: AAS 107 (2015), 925.
[37] Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 343.
[38] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 35: AAS 01 (2009), 670.
[39] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro “Economia di comunione” promosso dal Movimento dei Focolari (4 febbraio 2017): L’Osservatore Romano, 5 febbraio 2017, 8.
[40] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollecitudo rei socialis, n. 28: AAS 80 (1988), 548.
[41] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 67: AAS 101 (2009), 700.
[42] Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Nota per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, n. 1: L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, 6.
[43] Cf. ibid., n. 4: L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, 7.
[44] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 45: AAS 101 (2009), 681; Francesco, Messaggio per la Celebrazione della 48ª Giornata mondiale della Pace (1 gennaio 2015), n. 5: AAS 107 (2015), 66.
[45] Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 36: AAS 101 (2009), 671.
[46] Cf. Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 189: AAS 107 (2015), 922.
[47] Cf. Benedetto XVI, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (8 gennaio 2007): AAS 99 (2007), 73.
[48] Cf. Id., Lett. enc. Caritas in veritate, n. 66: AAS 101 (2009), 699.
[49] Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 358.