Vi proponiamo il testo di un articolo del giornalista Giacomo Scanzi, pubblicato nei giorni scorsi da L’Osservatore Romano, sul tema del dialogo in Paolo VI.
«Il dialogo presuppone l’uguaglianza (…) non nella posizione, nella preparazione, nell’autorità, nell’età, nel talento o nel genio, ma nel comune amore della verità». Le parole di Paolo VI affidate alla penna di Jean Guitton, dicono con chiarezza cosa sia stato, per il papa bresciano, il tema del dialogo. Questione alta, perfino carica del mistero che attiene al cammino verso la verità. Mai si è trattato di semplice tecnica, e men che meno di tattica.
Mai Montini ha ceduto all’equivoco, al mimetismo, alla semplice indulgenza. Dialogo, nel cuore della modernità, nel pieno del processo di allontanamento e di separazione dell’uomo moderno da Dio e dalla Chiesa, è parola decisiva, che si sostanzia nell’ancor più complessa questione del rapporto.
Che esista una questione pertinente alla relazione tra Chiesa e mondo moderno, non è scoperta tarda in Montini. Fin dagli anni della giovinezza, vi è chiara la consapevolezza che occorre salvaguardare, difendere e proporre il grande patrimonio accumulatosi nei secoli nel cuore stesso della Chiesa con nuovi metodi, con uno stile rinnovato, moderno. Il tema attiene innanzitutto alla relazione Chiesa-mondo con tutta la sua variegata e caleidoscopica ricchezza di saperi, di domande, di abitudini, di stili di vita, di ricchezze e di povertà. La prima questione che attiene al dialogo sembra essere in Montini la dismissione di una radicata paura del mondo. Meglio: di una sostanziale diffidenza. Essa si pone in termini chiari soprattutto durante l’esperienza di Montini alla guida spirituale degli studenti universitari della FUCI. Conoscere e studiare diviene la premessa di ogni piena consapevolezza. Conoscere meglio la radice delle cose: ecco il compito che affida inizialmente ai suoi studenti. Quindi rendere partecipi della conoscenza, nella dimensione della carità intellettuale, tutti gli altri. L’esperienza universitaria deve così diventare una grande esperienza spirituale, nella quale, tra le infinite domande, una deve emergere, imperiosa e definitiva: la domanda su Dio. Il percorso educativo realizzato da Montini punta dunque su un significativo ampliamento delle conoscenze filosofiche, scientifiche, teologiche e letterarie dello studente, sulla collaborazione tra studenti nei famosi “gruppi di studio”, su una vita spirituale attiva e sistematica, sull’esercizio della carità. Si tratta insomma di immettere le forze cattoliche sulla strada della cultura contemporanea, renderle consapevoli e militanti, pronte e preparate ad affrontare i temi propri del mondo secolarizzato della cultura.
Il risultato è quello di una gioventù cattolica che si apre in anni di asfissia culturale, quali sono stati quelli del fascismo, alla cultura contemporanea europea, ai grandi pensatori e scrittori cristiani, che acquisisce una coscienza di sé avvertita e dinamica, che guarda, con gli occhi consapevoli della cultura, a una società che va evolvendo e insieme immiserendosi.
Ma è Milano, cui Montini approda nella sua nuova veste di arcivescovo nel gennaio del 1955, a costituire il primo banco di prova e soprattutto il terreno fertile di un’elaborazione compiuta, del tema del dialogo.
L’arcivescovo mette in guardia dal pericolo ricorrente, insito in un dialogo mal inteso: «(il pericolo) è quello di scambiare l’avvicinamento degli indifferenti, dei lontani, degli avversari con l’assimilazione al loro modo di pensare e di agire. Non saremo più dei conquistatori, ma dei conquistati. Il dialogo, metodo necessario all’apostolo, non deve terminare con una negazione, o un oblio della nostra verità, a profitto dell’errore, o della parziale verità che si voleva redimere».
Il 6 agosto 1964, Paolo VI firma la sua prima enciclica. Il tema, come recita il titolo, Ecclesiam suam, è proprio la Chiesa nel suo cammino di introspezione e definizione identitaria e nel suo rapporto dialogico con il mondo. Montini è Papa da poco più di un anno. Ha di fronte a sé un quadro nazionale e internazionale complesso, il Concilio ha ripreso i suoi lavori dopo l’interruzione per la morte di Papa Giovanni, Paolo VI ha già compiuto lo storico viaggio in Terra santa e si prepara a un altro importante viaggio, questa volta in India.
L’enciclica appare immediatamente come il documento programmatico di Papa Montini. In essa — sottolinea il Papa presentandola all’udienza generale del 5 agosto — «diciamo quello che Noi pensiamo debba fare oggi la Chiesa per essere fedele alla sua vocazione (…) Possiamo forse intitolare questa Enciclica: le vie della Chiesa. E le vie da noi indicate sono tre: la prima è spirituale; riguarda la coscienza che la Chiesa deve avere e deve alimentare su se stessa. La seconda è morale; e riguarda il rinnovamento (…) di cui la Chiesa ha bisogno per essere (…) autentica. E la terza via è apostolica; e l’abbiamo designata col termine oggi in voga: il dialogo».
Nell’Ecclesiam suam il dialogo (termine che appare per la prima volta in un’enciclica) è inteso innanzitutto come colloquium salutis in cui le due virtù della fede e della carità divengono una sola cosa. Si fanno colloquio, linguaggio. Esso deve prendere le mosse dal riconoscimento della Verità. Non vi è alcuna concessione al dubbio, alla facile intesa, alla rinuncia del pur minimo profilo identitario che ha nella fede, nella Chiesa, e nel suo annuncio, la radice. In principio vi è la Rivelazione.
Solo una Chiesa santa può essere credibile agli occhi dell’uomo contemporaneo e divenire interlocutrice autorevole.
Ancora una volta lo sguardo di Montini si modula su due piani: ad intra addita alla Chiesa un percorso di fermo riconoscimento della verità, di solidità dottrinale e identitaria. «Che altro dovremmo dire di quelli che invece non altro contributo sembra sappiano dare alla vita cattolica che quello d’una critica amara, dissolutrice e sistematica?», dirà nel 1965, tanto che «una delle Nostre pene più acute è l’infedeltà di alcuni buoni, (…) quante debolezze, quanti opportunismi, quanti conformismi, quanta viltà!». Ad extra, una volta affermata la Verità, Paolo VI non dismette la ricerca, la speranza: cercare, cercare tra le pieghe dell’uomo “disorbitato” il seme che Dio deve pur aver collocato in ogni persona, ricondurlo alla radice cristiana, cogliendo e dimostrando — in questo caso il ruolo della cultura è centrale — le molteplici contraddizioni che caratterizzano l’uomo contemporaneo.
Dialogo, dunque. Se questa è la disposizione d’animo primaria di una Chiesa che intende parlare all’uomo moderno, vi è innanzitutto da restituire la parola al desiderio di una nuova stagione di rapporti tra Chiese cristiane e tra i cristiani e le altre religioni. L’amore per la Chiesa, in Paolo VI si fa universale. Anche in questo caso, senza travisamenti, facili concessioni, arretramenti, equivoci. Ciò che guida ogni apertura, ogni rapporto è — e resta — l’amore fraterno, lo spirito di carità, il desiderio di perseguire ciò che unisce piuttosto che ciò che divide.
L’Ecclesiam suam traccia il sentiero di tale disposizione. «Qualche cosa essi devono ammettere e modificare; qualche cosa la Chiesa cattolica deve ammettere [e] modificare: non sulla fede, ch’è unica; non sul regime nella carità, ch’è unico; ma sulle forme pratiche e storiche di vivere ed esprimere il cristianesimo. L’ovile è unico; potrà estendere i limiti del suo recinto e accogliere la parte di gregge rimasta fuori, purché questa desideri d’essere inclusa nell’unicità della Chiesa, pur conservando molti suoi modi originali di vivere il cristianesimo» (Note per l’enciclica circa il Dialogo). Ma sono soprattutto i gesti a rendere visibile il desiderio fraterno di Paolo VI. Se un’attenzione ecumenica è rintracciabile fin dall’episcopato milanese, è certamente l’incontro tra Paolo VI e il patriarca Atenagora, durante il viaggio in Terra santa nel gennaio 1964, ad aprire anche simbolicamente la nuova stagione del dialogo interreligioso di matrice montiniana. Anche in questo campo si è parlato di una nuova primavera della Chiesa.
Gli incontri si moltiplicheranno: con Atenagora stesso, con Melitone, con il primate anglicano, con la visita di Paolo VI a Ginevra, nel giugno del 1969, al Consiglio ecumenico delle Chiese. In questo caso egli si presenta, pur sconsigliato da molti, con la frase: «Il mio nome è Pietro». Ancora una volta Montini pone alla base di ogni possibile dialogo la chiarezza e l’identità, definendo immediatamente il senso di quell’affermazione: «Noi siamo convinti che Nostro Signore Ci ha dato, senza alcun merito da parte Nostra, un ministero di comunione». Un ministero — continua Paolo VI — che ha quale fine ultimo «il dono dell’amore, nella verità e nell’umiltà».
Dialogo religioso e dialogo con l’uomo moderno, «l’uomo d’oggi, così com’è». Torna il tema della militanza nel mondo dei saperi contemporanei: «È dunque di importanza capitale, ben più di una primaria necessità, che filosofi e teologi s’interessino a tutte le manifestazioni della vita del nostro tempo, ascoltando le richieste che montano, dei giovani in particolare, comprendendo le aspirazioni talvolta confuse, che salgono dal profondo dei cuori, in una parola sappiano ascoltare per poter rispondere secondo le leggi essenziali del dialogo». Perché — continua Paolo VI — vi è nel cuore dell’uomo «una richiesta profonda che attiene alla natura stessa dell’uomo e della verità di salvezza che Noi vogliamo offrirgli, questa Buona Novella che ha preso il volto umano per rivelare all’uomo che Egli era la parte umana di Dio» (12 settembre 1970).
Dialogo, dunque, senza mitizzazione, senza farne un totem. Anzi in Paolo VI vi è persino la consapevolezza che di esso «troppo si parla e talvolta si abusa». Dialogo, come «espressione buona dell’autorità pastorale», esercitato nel clima a esso pertinente, il clima dell’amicizia.
La questione attiene dunque, prima ancora che al contenuto, allo stile, a quella predisposizione amorevole, a quello «spirito evangelico che ora la Chiesa e il mondo attendono da uomini di Chiesa».
Il Papa è insomma fermamente convinto che se «ad un esame superficiale, l’uomo di oggi può sembrare come sempre più estraneo a tutto ciò che appartiene all’ordine religioso e spirituale (…), dietro questo scenario grandioso (quello dei successi tecnici spettacolari) è facile scoprire le voci profonde di questo mondo moderno, agitato anch’esso dallo Spirito e dalla grazia. Esso aspira alla giustizia…a un progresso…a una pace… Noi lo diciamo senza esitare: tutto ciò è nostro… Queste voci profonde del mondo noi le ascolteremo, e continueremo ad offrire instancabilmente all’umanità d’oggi la risposta ai suoi appelli: il Cristo e le sue insondabili ricchezze» (1971).