di Ernesto Preziosi
Il richiamo al centenario dei ‘liberi e forti’, va considerato soprattutto in termini di metodo: i credenti operano nei diversi contesti storici, offrendo risposte, dando vita a strumenti, che ritengono idonei a raggiungere il fine che è legato al senso stesso dell’impegno politico del cristiano: operare non già per sé o per gli interessi della Chiesa, bensì per il bene comune.
I cento anni trascorsi dall’appello di Luigi Sturzo ai “liberi e forti” consente più di una riflessione, anche con uno sguardo all’attualità. Quell’appello e il partito cui diede vita ebbero un carattere innovativo rispetto lo stato liberale in cui venivano a porsi, ed anche rispetto al tema cattolici-politica. Due aspetti da considerare.
Senza per questo piegare quella storia all’attualità, in un improbabile attualismo. Una storia di cui dobbiamo “essere fieri” e di cui dobbiamo sentirci eredi in un contesto assai diverso; in un cambiamento profondo che non incide solo sulle strutture e sulle istituzioni ma agisce nell’animo umano, nei rapporti interpersonali, nelle relazioni sociali.
Il richiamo al centenario dei “liberi e forti”, pertanto, va considerato soprattutto in termini di metodo: i credenti operano nei diversi contesti storici, offrendo risposte, dando vita a strumenti, che ritengono idonei a raggiungere il fine che è legato al senso stesso dell’impegno politico del cristiano: operare non già per sé o per gli interessi della Chiesa, bensì per il bene comune.
Ripensando quella storia
Il partito di Sturzo non si proponeva per la sua ispirazione cristiana bensì come “partito di programma”, in cui l’ispirazione e l’evidente riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa erano riconoscibili negli obiettivi politici. Allo stesso tempo, quella proposta – volutamente aconfessionale – conteneva la matura elaborazione di quella che poi avremmo chiamato laicità della politica. Posizione non scontata e forse mai maturata pienamente nel vissuto del cattolicesimo italiano e, anche per questo, di difficile riproposizione nelle fasi successive, compresa la presente. Oggi infatti, su questi aspetti, si registra una sorta di analfabetismo di ritorno, anche rispetto a quelle acquisizioni che, la presenza diffusa della DC degasperiana, aveva contribuito a radicare tra i cattolici. Si deve a Sturzo l’aver portato i cattolici italiani verso la scelta del partito come strumento. Dirà Sturzo: «il partito non è un fine, è un mezzo, ed è un mezzo delicatissimo nella sua funzione e nella sua finalità». Nel secondo dopoguerra, Sturzo a proposito del ruolo dei partiti scriverà che in democrazia il loro compito «è quello di organizzare il corpo elettorale: prepararlo ed educarlo alla vita pubblica; fare da intermediario tra gli organismi del potere e dell’amministrazione e il cittadino; aiutarlo nella difesa dei doveri pubblici: correggerne l’istinto demagogico e indirizzare al servizio pubblico la impulsiva passionalità delle masse».
Senza l’esperienza organizzativa e formativa del Movimento Cattolico, difficilmente sarebbe nato un partito come il PPI; ma occorreva formare una mentalità politica nel cattolicesimo italiano che era totalmente digiuno in tal senso e facilmente poteva scadere nel moderatismo. Dirà Sturzo con sintesi efficace che il partito: «è stato promosso da coloro che vissero l’Azione Cattolica, ma è nato come un partito non cattolico, aconfessionale, come un partito a forte contenuto democratico e che si ispira alle idealità cristiane, ma che non prende la religione come elemento di differenziazione politica». Sono solo alcuni richiami che dicono come l’opera svolta da Sturzo, con il pensiero e con l’azione, sia stata enorme. Non per questo non rinunciò alla sua vocazione religiosa. In lui è presente una sintesi di due vocazioni: quella religiosa e quella politica, vissute talvolta in contrasto e con sofferenza, nella lucida e motivata distinzione degli ambiti, ma sempre consapevole della fondamentale radice cristiana e della comunione ecclesiale, pagando di persona (si pensi all’esilio), sempre con grande forza e libertà, guadagnando una stima unanime di persona libera, di sacerdote obbediente ma non per questo “sottomesso”.
Le scelte da compiere nella stagione presente
La storia non serve per essere rimpianta e neppure per tentare improbabili repliche. Dalla storia ci viene una spinta morale a fare la nostra parte nel presente, ricchi anche dell’esperienza, della testimonianza del pensiero, di quanti ci hanno preceduto.
La situazione presente, con il suo disorientamento può utilmente riferirsi all’esperienza storica. Il presidente dei vescovi italiani ha osservato come la storia del movimento politico cattolico sia una “bussola” con cui fare i conti e sollecitare la responsabilità “per affrontare le questioni e i problemi della nostra gente”. Senza smarrire la prospettiva storica, a noi compete misurarci col presente e con il fatto che – è ancora una affermazione di Bassetti – «se non si trova una forma per esprimersi insieme, si rischia di essere inefficaci» o “irrilevanti”. Dobbiamo pensare ad un percorso di medio-lungo periodo.
Mi pare si possano individuare tre livelli di impegno su cui spendersi. Tre livelli distinti ma intrecciati tra loro nel vissuto delle persone.
Il primo è quello di una formazione di base all’interno della comunità cristiana, una formazione essenziale che passa per i sacramenti dell’iniziazione cristiana e per le liturgie domenicali, che non possono trascurare la valenza sociale del cristianesimo. È evidente come dietro un certo disorientamento elettorale che ha spinto tanti credenti verso il non voto o la protesta demagogica, non vi sia solo l’esasperazione sociale, presente e motivata, ma anche una formazione debole, disincarnata, talvolta spiritualistica, spesso avulsa dalla storia. Alla formazione debole corrisponde un’appartenenza debole; le appartenenze forti che determinano le scelte e i comportamenti sono altre, spesso impalpabili, e sono ascrivibili alla “logica del mondo”.
Le proposte formative più intense di alcuni movimenti rischiano l’autoreferenzialità e per questa via la resistenza alle logiche del mondo si risolve in una sterile separatezza e in una logica di proselitismo, e non in un’animazione missionaria che potrebbe avere conseguenze feconde anche nella possibilità di agire nel politico. Qui sta il compito primario: mettere cura nella formazione cristiana, così che la fede illumini i criteri di giudizio, i modelli di comportamento e di azione, ispirando in sostanza una visione culturale che abbia al centro la dignità di ogni persona. Il difetto maggiore nella formazione sociale dei credenti non è dovuto alla scarsità di scuole di dottrina sociale o di formazione sociale e politica, ma alla debolezza della formazione di base.
Un secondo percorso riguarda la dimensione culturale: la fede vissuta anche nella sua valenza culturale e sociale, nel proiettarsi nella società civile, necessita di una adeguata progettualità, di una mediazione culturale appunto, tale da esprimersi in un linguaggio comune e di aprirsi alla condivisione di tanti. Questo compito attende di essere svolto nei vari ambiti (oggi in crisi) della politica e riguarda anche le tante istituzioni culturali cattoliche di cui abbonda il nostro Paese. Molti sono i temi che interessano direttamente le persone e altri, come l’Europa, rappresentano una prospettiva non rinunciabile. Ed è proprio su questo secondo livello che può collocarsi uno “strumento nuovo”.
Pur essendo convinto dell’urgenza che i partiti recuperino il loro ruolo di proposta politica e di formazione-selezione della classe dirigente è del tutto evidente l’utilità in questa fase di un “luogo” che, cercando di superare le idiosincrasie ad ogni forma di collegamento-coordinamento, consenta un livello di incontro e una proposta a partire da quanti, alla luce di un’ispirazione cristiana, sono interessati e coinvolti nel servizio politico. Mi riferisco quindi ad un livello che non sia tanto quello dell’appartenenza ecclesiale (in cui si agisce su di un piano formativo e sotto la responsabilità dei Pastori) e neppure partitico con le logiche e le problematiche che si presentano in quel contesto. Bensì un luogo politico (non prepolitico, bensì prepartitico) con una precisa valenza culturale. In questa prospettiva si può esercitare la creatività e la libera iniziativa di un laicato, formato e desideroso di rispondere ad una domanda che ha il carattere dell’evidenza e dell’urgenza insieme. Esistono in proposito esperienze e strumenti, su cui di recente si è aperto un dibattito.
Infine il terzo percorso riguarda le forme della partecipazione politica e chiede di ripensare gli strumenti, i partiti in primis che vanno ripensati in una nuova fase della vita democratica in cui la democrazia rappresentativa mostra i segni di stanchezza e si confronta con forme di democrazia deliberativa, partecipativa, di prossimità, così come con la provocazione di una improbabile democrazia diretta. In proposito si dovrebbe attingere ad alcune belle pagine sturziane sul ruolo dei partiti e sulla centralità del Parlamento. I partiti, la loro mediazione, non possono essere aboliti, ma certo vanno ripensati.
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