Nell’imminenza del 50° anniversario dell’enciclica Populorum Progressio vi proponiamo una riflessione del cardinale Gualtiero Bassetti, pubblicata nei giorni scorsi dall’Osservatore Romano.
Leggere le notizie sulla situazione drammatica dei sei anni di guerra in Siria o sul milione e mezzo di profughi che fuggono dal Sud Sudan e, contemporaneamente, ascoltare il dibattito sui migranti che ha animato la campagna elettorale olandese, ma che aleggia un po’ in tutta Europa, fa venire subito alla mente una celebre frase che il poeta romagnolo Dino Campana scrisse nel 1930 a un suo amico nell’ultimo scorcio della sua tragica vita: «Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili».
A ben guardare, in effetti, il mondo contemporaneo, al di là delle belle parole e delle frasi di circostanza, sembra essersi dimenticato della dignità dell’uomo. Oltre la retorica pare ci sia il vuoto. Il valore dell’essere umano, infatti, sembra passare immediatamente in secondo piano rispetto alla logica del supremo interesse personale: che si può declinare, a volte, come un interesse meramente economico, altre volte come un insuperabile interesse di sicurezza sociale o, infine, in un desiderio trasformato egoisticamente in un diritto.
L’altro — ovvero la persona che ci sta accanto — di fronte a queste priorità viene cancellato. Spazzato via quasi sempre con frasi amichevolmente asettiche che nascondono invece dosi non piccole di acrimonia, ipocrisia e indifferenza. Frasi un po’ stucchevoli nella loro banalità che, per esempio, quando si riferiscono al dramma mondiale dei migranti, ripetono un ritornello sentito una miriade di volte: aiutiamoli a casa loro. A me capita spesso di aggiungere non senza una punta di malizia: purché li aiutiamo. Già, ma come?
Una delle risposte più autorevoli — oserei dire profetiche — a questa domanda cruciale viene data dall’enciclica di Paolo VI Populorum progressio, di cui tra pochi giorni, il 26 marzo, ricorrerà il cinquantesimo anniversario. Un’enciclica discussa e osteggiata, ma che fu, invece, straordinariamente innovativa e che rappresentò — come riconobbe Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis — la prima enciclica in cui la questione sociale acquisì una dimensione mondiale. Il primo documento globale che segna, dunque, un salto di qualità nella tradizione dell’insegnamento sociale della Chiesa cattolica e che conserva, ancora oggi, un’eccezionale attualità. Per almeno tre motivi.
Prima di tutto, perché al centro di tutta la riflessione non c’è un vago sentimento solidaristico ma c’è la «promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo». C’è l’uomo integrale ereditato intellettualmente da Maritain, ma c’è soprattutto la consapevolezza dei rischi della «tecnocrazia» e di uno sviluppo umano che non si può ridurre «alla semplice crescita economica» finendo per separare, erroneamente, «l’economico dall’umano».
In secondo luogo, perché Paolo VI mise in guardia dagli «urti di civiltà» — anticipando di circa trent’anni i teorici dello «scontro di civiltà» — e auspicando, all’opposto, la costruzione di «dialoghi di civiltà». Papa Montini aveva davanti agli occhi sia il «conflitto delle generazioni» delle società industriali avanzate, che il rapporto difficile tra i paesi ricchi del nord e quelli poveri del sud del mondo. Per mettere fine a tutte le «diseguaglianze economiche» e per superare tutti i potenziali conflitti, Paolo VI affermò che, in definitiva, «lo sviluppo è il nome della pace».
In terzo luogo, infine, perché la Populorum progressio sottolinea con forza, non solo il «dovere di solidarietà» tra le nazioni ricche e quelle in via di sviluppo, ma soprattutto il «dovere di carità universale» che spetta alle famiglie e alle associazioni ed è strettamente connesso con «l’ospitalità» e il «dovere di accoglienza». L’accoglienza nei confronti di chi si reca in un paese per studiare e l’accoglienza «dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po’ le famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale».
Promozione umana, tecnocrazia, dialogo, sviluppo, pace e accoglienza: parole scritte da Paolo VI nel 1967 ma che continuano a essere un patrimonio prezioso per la Chiesa e che trovano una rinnovata declinazione nella Evangelii gaudium e nella Laudato si’. Papa Montini in un passaggio della Populorum progressio sottolineava l’urgenza di questi temi. «Bisogna affrettarsi» scriveva il Pontefice, perché «non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli oppressi». Sono passati cinquant’anni. L’urgenza è diventata emergenza. Bisogna assolutamente affrettarsi.
(L’Osservatore Romano, 17-18 marzo 2017)