Il mercato è il nuovo dio?

Nel corso della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, prendendo spunto da un articolo pubblicato nei giorni scorsi dall’Osservatore Romano, vi proponiamo una sintesi delle riflessioni del teologo battista Harvey Cox[1] (raccolte da Paolo Costa nel libro, uscito per le Edizioni Dehoniane, “Il mercato divino. Come l’economia è diventata una religione”).

Nell’ambito di una conferenza[2], che prendeva le mosse dal suo ultimo libro “The Market as God”, Harvey Cox ha descritto il processo attraverso cui il mondo è caduto preda della teologia liberista dell’accumulazione e della crescita infinita, secondo la quale il Mercato è onnisciente, onnipotente e onnipresente: conosce il valore di ogni cosa, può innalzare le nazioni o mandare in rovina intere famiglie. Nulla sfugge al suo potere di mercificazione e non gli mancano certo le dottrine, i profeti e lo zelo evangelico per convertire il mondo al proprio stile di vita.

Secondo il teologo americano è giunta l’ora di smascherare questa pseudo-teologia e dimostrare che il modo in cui opera l’economia mondiale non è naturale né inevitabile, ma è plasmato da un sistema di valori e simboli globali che diventano più comprensibili se vengono interpretati come una religione.

Per Cox, insomma, è in atto una divinizzazione del Mercato e tutti i problemi del mondo – crescita delle disuguaglianze, riscaldamento globale, ingiustizie della povertà mondiale – sono sempre più difficili da risolvere.

Solo capendo come il Mercato abbia potuto raggiungere il suo status “divino” possiamo sperare di riportarlo al suo giusto ruolo al servizio dell’umanità. Ciò che le religioni hanno imparato a fatica nel corso dei millenni, ancora sfugge ai devoti dell’economia: l’umiltà.

Il punto di partenza della riflessione, accessibilissima nonché parecchio stimolante, è l’Evangelii gaudium di Papa Francesco. È toccante leggere nelle parole del teologo protestante che l’incoraggiamento a mettere per iscritto un’equazione secondo la quale il mercato è concorrente di Dio e per questo, in un certo qual modo, divino lui stesso, venga dall’esortazione del Pontefice: «Il libro è stato ispirato in parte da Papa Francesco. Mi ha molto colpito, infatti, che la sua prima esortazione apostolica — l’Evangelii gaudium — ruotasse attorno a un quesito tanto semplice quanto essenziale. Se il vangelo è davvero la lieta novella, una buona notizia per l’umanità, perché oggi siamo tutti così emotivamente controllati, se non addirittura depressi?».

Se il Papa non avesse proferito queste parole nel senso di una critica all’economia di un mercato divinizzato, sacralizzato, spiritualizzato a tal punto da far rimettere in questione tutti i valori della natura umana, allora nemmeno un teologo della levatura di Cox avrebbe concepito questa riflessione.

Non è certo una novità assoluta paragonare il mercato alla divinità, meglio ancora di sacralizzarlo, di ritenerlo una vera e propria religione, con i suoi rituali, le sue istituzioni, le sue élites e ancora tanti altri aspetti tipici della dimensione religiosa. Già Walter Benjamin, filosofo che ha segnato tanta parte della riflessione contemporanea, l’aveva già affermato. Il fatto vero, profondo, che non può lasciare indifferenti — come Papa Francesco tenta di fare da anni —, sono le conseguenze di questo processo, cioè che il mercato sacralizzato uccide il desiderio vero, quello libero, devasta in un’ultima analisi quanto sembra invece dichiarare nei suoi principi supremi: la libertà. Così il teologo scrive: «È difficile nominare una sfera della vita che non sia contaminata dalla logica del Mercato, da quella fiducia cieca nelle virtù del libero mercato che viene talvolta definita “mercatismo”».

In fondo si capisce che a forza di sacralizzare il mercato, a forza di divinizzarlo, l’uomo contemporaneo perde la capacità di scelta, di una vera e propria libera scelta. Perdendo la capacità di scelta, in un certo senso perde anche la possibilità di riconoscere l’altro e il valore intrinseco della persona.

Papa Francesco parlando di globalizzazione dell’indifferenza, stigmatizza — certamente implicitamente, ma non meno autorevolmente — una società dove tutto apparentemente si compra, dove tutto è tradotto in moneta sonante, e per questo stesso motivo non si vede più il vero altro. Per vederlo bisogna avere occhi capaci di guardare e orecchie capaci di ascoltare.

 


[1] Harvey Gallagher Cox, Jr. (nato il 19 maggio 1929 a Malvern, Pennsylvania) è uno dei più importanti teologi statunitensi. Pastore battista, è stato professore alla Divinity School di Harvard sino al suo pensionamento nel 2009. Al centro della sua ricerca e del suo insegnamento c’è l’interazione fra religione, cultura e politica. Tra i temi da lui affrontati spiccano l’urbanizzazione, gli sviluppi teologici nel cristianesimo globale, le relazioni tra cristianesimo ed ebraismo e i movimenti spirituali contemporanei (in particolare il pentecostalismo). Tra i suoi libri ricordiamo: “La città secolare” (1969); “La festa dei folli: saggio teologico sulla festività e la fantasia” (1971); “Il cristiano come ribelle” (1973); “Fire from Heaven: The Rise of Pentecostal Spirituality and the Re-shaping of Religion in the 21st Century” (1994); “Le feste degli ebrei” (2003); “The Future of Faith” (2009); “The Market as God” (2016).

[2] La conferenza era presentata all’Istituto Kessler di Trento, quando il teologo è intervenuto durante la prima Davide Zordan Lecture, il 16 ottobre 2016.