Il 1° Maggio, Festa dei lavoratori, nasce per ricordare la lotta dei lavoratori, senza barriere geografiche o sociali, per vedere affermati i propri diritti e migliorare la propria condizione. “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” fu la parola d’ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte dei movimenti sindacali del primo Novecento.
A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell’Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva tale limite orario per la giornata lavorativa. L’entrata in vigore della legge venne fissata per il 1° maggio 1867 e quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione, con la partecipazione di diecimila lavoratori, il più grande corteo mai visto per le strade della città americana. La manifestazione venne repressa nel sangue. Da allora molto è cambiato, ma in molte parti del mondo ancora oggi i lavoratori non godono degli stessi diritti e dignità.
In coincidenza con questa ricorrenza, vi suggeriamo la lettura di una riflessione di Luigino Bruni, pubblicata su Avvenire.
Oggi è la festa dei lavoratori, di tutti lavoratori. È anche la festa del lavoro. Ma non è la festa di tutto il lavoro, perché non tutto il lavoro né tutti i lavori meritano di essere festeggiati. Il lavoro senza aggettivi qualificativi non parla abbastanza per dirci se merita o no la nostra festa.
Anche il “figliol prodigo” trovò un lavoro dopo aver sperperato tutte le sue sostanze, ma pur lavorando come guardiano di porci non riusciva a sfamarsi. Il suo non era un lavoro degno né decente, come non lo erano la maggior parte dei lavori dall’antichità fino a tempi molto recenti, e come non lo sono molti lavori che pur continuiamo a fare. Per questa ragione il primo maggio è anche la memoria delle molte battaglie civili e politiche combattute per rendere il lavoro un’attività umana degna, e quindi per eliminare quelle condizioni di lavoro e quei lavori che somigliavano (e somigliano) troppo alla schiavitù e alla servitù. Per ricordarci quindi che il lavoro è prima di tutto una questione politica, sociale, che ha a che fare con le relazioni di potere (parola cancellata dal vocabolario del capitalismo del XXI secolo), e che quando diventa una faccenda individuale, un contratto come tutti gli altri, perdiamo secoli di civiltà e di riequilibrio dei rapporti di forza. La storia delle civiltà è anche una “distruzione creatrice” di lavoro: lavori indegni sostituiti da lavori più degni…
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